Fiducia, da “fidere”, avere fede. In una persona, fondamentalmente, o anche nel buon successo di chicchessia, fondato su segni o argomenti certi o molto probabili: così il dizionario etimologico. Per come vogliamo trattarla qui, la fiducia non ha tanto a che fare con uno stato emotivo. Piuttosto è la misura delle proprie aspettative nei confronti del comportamento altrui.
Da diversi anni ormai sembra che abbiamo perso fiducia: nei mercati, nella politica, nel mondo. Fino ad arrivare alle relazioni umane, questo è il rischio che stiamo correndo. Una crisi non più solo economica, ma di fiducia nell’altro, nella vita, nel futuro, nella speranza. Siamo in una situazione in cui viene a mancare fiducia nella convivenza e di conseguenza anche nella democrazia, dice Enzo Bianchi nel suo ultimo libro Fede e fiducia: una democrazia che non lascia spazio all’arte della fiducia, fallirà certamente1.
Nell’ultimo mezzo secolo mentre la ricchezza dei paesi occidentali ha continuato a crescere – anzi, si sono diffuse vere e proprie malattie sociali come ansia e depressione – la società è entrata in crisi e sono drasticamente diminuite la fiducia negli altri e la fedeltà ai valori comunitari. Negli ultimi anni nei paesi cosiddetti ricchi è aumentata la schiera dei cosiddetti frustrated achievers: arricchiti scontenti, appunto. Cioè l’effetto positivo del reddito personale sulla felicità individuale è via via decrescente. E allora? Intanto, come sostiene Richard Layard2, forse dovremmo tentare di monitorare lo sviluppo della felicità dei nostri paesi con la stessa attenzione con cui teniamo sotto controllo la crescita del Prodotto interno lordo. Che poi – come indicatore si intende – non rappresenta tutto: o meglio è soltanto un accumulatore di ricchezza materiale. Il reddito pro-capite oltretutto, una media dunque, non riesce a cogliere molte delle dimensioni importanti che contribuiscono alla felicità collettiva. I tentativi fatti finora accendono una nuova luce «per contare ciò che conta». Del resto Einstein diceva che «le cose che contano non si possono contare».
Ma non serve fingere: anche se da qualche settimana i mercati finanziari guardano con fiducia all’Italia, promossa a fine maggio dall’Unione Europea – che ha chiuso la procedura di deficit eccessivo, riconoscendole un importante riconoscimento per il notevole sforzo fatto in questi ultimi anni in materia di conti pubblici3 – e se il «calo degli spread dimostra che la fiducia dei mercati sta tornando e la minaccia esistenziale per l’eurozona è superata», come ci dice il presidente del Consiglio europeo, Herman Van Rompuy, l’ansia e la paura suscitate da quanto è accaduto nell’ultimo decennio continuano a influenzare le nostre vite.