GEORGE PACKER, The Unwinding: An Inner History of the New America, Farrar, Straus and Giroux, pp. 434, $27.00
ATTUALITÁ: Joseph Lelyveld recensisce un saggio che ci porta in un viaggio all’interno della “nuova America”. Una società spaventata e incerta davanti a una recessione che ha visto i legami che tengono uniti comunità, famiglie e individui sciogliersi, lasciandoli in caduta libera.
Prima di saltare giù nella sua coraggiosa discesa speleologica all’interno della “nuova America”, George Packer fornisce un orientamento, o forse è un discorso di incoraggiamento, ai lettori che lo accompagneranno in questa spedizione. In soli otto paragrafi, abbozza una filosofia della storia che è vagamente Hegeliana. La sua dialettica funziona così: ogni tanto – un paio di volte in un secolo, sembra – la società americana si disfa, sciogliendo i legami che tengono unite comunità, famiglie e individui, abbandonandoli in caduta libera, esclusi egocentrici e arrampicatori che riescono a rimanere appesi e a trovare appigli sempre più in alto.
Tali disfacimenti sono l’equivalente dei suoi “sfilacciamenti” [unwinding in lingua inglese], il più recente dei quali – non ancora finito, secondo questo punto di vista – ha avuto inizio in America ad un certo punto negli anni ’70. «Il futuro è stato in declino fin dal 1973», scrive Packer, parafrasando uno dei personaggi della vita reale che egli presenta come voci rappresentative, se non archetipi, della nostra era.
L’overture di Packer, con queste ampie tematiche, può sembrare un tantino esagerata. Ma segnala che qui c’è in offerta qualcosa di grande. Quanto grande diventa ben presto evidente. È il suo ambizioso progetto di far rivivere in queste pagine, e per queste tempi, la tentacolare trilogia di John Dos Passos degli anni ’30: U.S.A.
I romanzi di Dos Passos, spesso descritti come collage, offrono rappresentazioni giustamente normali di storie di personaggi destinati ad essere rappresentativi della generazione di americani che raggiunsero la maggiore età, più o meno, durante la Prima Guerra Mondiale. Ad interagire con loro ci sono dei “cinegiornali” di una pagina o due – frammenti lucenti di cultura popolare in forma di titoli, discorsi, liriche, e pubblicità – e poemi in prosa numerati, ognuno etichettato come “Occhio fotografico”, che trasmettono le riflessioni personali del narratore. Infine, la ricetta di Dos Passos prevede una spruzzata di luce, bozzetti sardonici di politici e detentori del potere: Heny Ford e Teddy Roosevelt, J.P. Morgan e “Fighting Bob” La Follette1.
Lo stesso Dos Passos iniziò a chiamare il pacchetto completo un “montaggio” o “cronaca contemporanea”, spiegando in un’intervista alla ‘Paris Review’ due anni prima della sua morte nel 1970, che voleva «ottenere qualcosa di un po’ più accurato della finzione». Allo stesso tempo, insisteva, «L’obbiettivo era sempre quello di produrre finzione».
Questo non è l’obbiettivo di Packer. Dos Passos fornisce l’armatura scultorea piuttosto che il modello per ciò che Packer ha assemblato. L’idea stessa di fare di The Unwinding un omaggio a U.S.A. – un libro che la maggior parte dei suoi lettori avrà letto solo di sfuggita nel migliore dei casi – è allo stesso tempo audace e limitante. A differenza del suo predecessore, The Unwinding non può essere letto semplicemente come un’opera d’immaginazione. Tuttavia merita di essere salutata per ciò che è: un’opera di reportage prodigiosa, altamente originale. L’ambizione che guida Packer è investigativa, giornalistica nel senso migliore del termine, piuttosto che letteraria. I vecchi mezzi del giornalismo – giornali “stampati”, riviste, network televisivi – possono provare ad essere parte degli avvenimenti che Packer racconta. Ma egli dimostra che il futuro del raccontare il mondo – la funzione alla base del giornalismo, alto o basso – non si sta eclissando.