ITALO CALVINO, Letters, 1941 – 1985, con un’introduzione e a cura di Michael Wood, tradotto dall’italiano da Martin McLaughlin, Princenton University Press, pp. 619, $ 39.50
LETTERATURA: Recensendo la traduzione inglese delle lettere di Italo Calvino, il poeta Jonathan Galassi ci porta in un viaggio non solo all'interno del lavoro, della vita e della poetica di uno dei più grandi scrittori italiani del XX° secolo, ma anche all'interno della vita culturale italiana del dopo guerra.
Senza tener conto di Umberto Eco, Italo Calvino (1923-1985) è lo scrittore italiano di prosa del dopoguerra che ha avuto il più largo e il più duraturo impatto fuori dal suo paese (come segno di ciò, val la pena notare che questa è la decima analisi del suo lavoro che appare sulle pagine della ‘New York Review of Books’ dal 1970). La raffinata ironia umana di Calvino, leggermente pessimista, ha cavalcato l’onda della decostruzione della finzione realistica in un modo che gli scrittori del più programmatico Nouveau Roman francese e dell’OULIPO1 non potevano fare, e cioè smascherando sottilmente i segreti della narrativa commerciale e segnalando ai lettori la natura auto-riflessiva del gioco narrativo mentre nel contempo continuava a produrre invitanti delizie affabulative.
La narrativa italiana del dopoguerra offrì una gamma di scelte così sostanziose come quello di ogni altro paese europeo, a partire dal magistrale, pubblicato postumo, Gattopardo (1958) di Giuseppe Tomasi di Lampedusa – benché esso probabilmente possa essere considerato l’ultimo grande romanzo della vecchia scuola. Prima della guerra Elio Vittorini e Cesare Pavese erano stati largamente influenzati da Hemingway e dal realismo americano; essi furono seguiti da una generazione che comprendeva Giorgio Bassani, Alberto Moravia e la moglie Elsa Morante, Carlo Emilio Gadda, Natalia Ginzbug, Leonardo Sciascia, Pier Paolo Pasolini e Primo Levi, per nominare solo i più importanti – la maggior parte dei quali, appaiono in questa molto avvincente e suggestiva selezione di lettere di Calvino, scelte da Michael Wood da diverse migliaia di pagine della sua corrispondenza letteraria pubblicata in Italia2.
Questi scrittori ritraevano una società ancora quasi feudale nel momento in cui approdava all’industrializzazione; i loro prodotti di generi diversi, furono influenzati dalla politica della guerra fredda in uno stato amico degli americani con al suo interno un Partito Comunista indipendente, capace e popolare in forte opposizione verso la coalizione guidata dal Partito Democristiano, uno stato in cui i valori della destra e della sinistra erano in competizione giorno dopo giorno su ogni fronte. A modo suo, Calvino esemplificò queste tensioni nella vita culturale italiana, forse anche con la sua risposta non ideologica ad esse.
Calvino nacque a Cuba, dove i suoi genitori, botanici, stavano lavorando a una stazione sperimentale fuori La Havana, ma crebbe a San Remo, sulla riviera ligure. Aveva intenzione di diventare agronomo e le sue prime lettere all’amico d’infanzia Eugenio Scalfari, divenuto poi uno dei più importanti giornalisti italiani, sono piene di entusiasmo giovanile per letteratura, filosofia e ragazze. Ma dopo aver combattuto con i partigiani nella guerra civile che seguì la caduta di Mussolini, un’esperienza che gli fornì il materiale per il suo primo romanzo, Il sentiero dei nidi di ragno (1947), Calvino dalla fine della guerra emerse come un comunista impegnato. Si dimise dal partito nel 1957, per protesta contro il suo rigido conformismo, scrivendo che «avevo auspicato che il Partito Comunista Italiano si mettesse alla testa del rinnovamento internazionale del comunismo, condannando metodi di esercizio del potere rivelatisi fallimentari e antipopolari». Tuttavia, pensava che i comunisti italiani avessero mostrato «un po’ più di intelligenza qui che in altri paesi», e, come scrisse all’editor della ‘New York Review’, rimase fedele a un’idea di Partito Italiano come «organizzazione efficiente e disciplinata profondamente interessata alla difesa e allo sviluppo della democrazia».