«Si stava meglio a casa – pensava la povera Alice – là, non mi capitava di diventare troppo grande o troppo piccola, né di farmi comandare da topi e conigli. Quasi quasi mi rincresce di essermi infilata giù per la tana del coniglio – eppure – eppure – c’è qualcosa di curioso in questo genere di vita! Che cosa mi può essere successo? Non capisco. Tutte le volte che leggevo una favola, mi immaginavo che quelle cose non potessero succedere, e invece eccomi qua, proprio nel bel mezzo di una favola! Dovrebbero scrivere un libro su di me, eccome se dovrebbero! Quando sarò grande, lo scriverò io – ma io sono già grande», aggiunse addoloratissima…
Lewis Carroll
Alice nel paese delle meraviglie
Nel maggio 2011, andai a cena a Perugia con diversi giornalisti che avevano passato la maggior parte dei tre anni e mezzo precedenti scrivendo sul caso di Meredith Kercher. Essi condividevano una visione beffarda e diffidente del procedimento giudiziario, su cui i loro resoconti avevano giocato un ruolo esagerato e forse decisivo. Ci incontrammo in un ristorante chiamato, abbastanza appropriatamente, Altromondo. Era sotto il livello della strada, come gran parte di Perugia, compresa l’aula di giustizia in cui Amanda Knox e il suo ragazzo, Raffaele Sollecito, vennero processati e fatti arrestare per la morte della Kercher. A Perugia, ti senti quasi sempre sotto il livello del terreno, anche quando sei all’aperto. La città medievale è adagiata lungo una ripida collina in strade curve, claustrofobiche che si incrociano l’un l’altra con angolazioni assurde. La strettezza delle strade è aumentata dalla tendenza degli antichi palazzi della città a protendersi in avanti, come se stessero per cadere sulla propria facciata. Il sole non brilla sulla maggior parte delle strade per la maggior parte del giorno. L’atmosfera è implacabilmente clandestina, cospiratoria, paranoide.
All’Altromondo i giornalisti ordinarono pasta al sugo di cinghiale e caraffe di vino rosso della casa. Ero a metà del mio piatto di trippa quando un giornalista disse, in modo diretto, «Non so neanche più se Amanda sia colpevole». (Era una posa dei giornalisti di Perugia riferirsi ai protagonisti del caso con i loro nomi di battesimo, proprio come la maggior parte dei fattorini di un ufficio postale di Hollywood potrebbero riferirsi a Brad o Angelina.) L’affermazione mi sorprese, perché questo particolare giornalista aveva di recente pubblicato un libro che accusava la Knox di aver ucciso la Kercher a sangue freddo.