LETTERATURA: Michela Rabà recensisce il saggio di Patrizia Spinato Bruschi, che riproduce le lettere inviate da Miguel Ángel Asturias all'accademico italiano Giuseppe Bellini tra il 1959 ed il 1973, analizzando il nesso inscindibile tra le istanze culturali e personali che legarono Asturias all'Italia e il rapporto umano ed intellettuale tra il premio Nobel e Giuseppe Bellini.
Negli anni ’30 del secolo passato un intellettuale e poeta torinese apriva in Italia una finestra, la prima, sullo sconfinato pelago della letteratura romanzesca ‘americana’. Al tempo in cui Cesare Pavese realizzò le sue traduzioni, capolavori letterari esse stesse, l’America per antonomasia, conosciuta nella Penisola attraverso il suo cinema, le sue mode culturali, i prodotti di consumo di massa, era quella anglosassone, quella economicamente più produttiva, quella che già allora veniva considerata non solo il cuore di un’economia mondiale globalizzata, ma il luogo delle aspirazioni ad un futuro libero e democratico, diverso dall’Europa delle dittature che allora imperversavano. Per lunghi anni, doveva invece rimanere ancora largamente ignota, nella sua essenza, agli italiani che non vi fossero immigrati l’altra America, la Nuestra America, felice parola d’ordine e, assieme, rivendicazione della propria irrinunciabile specificità culturale, coniata dal cubano José Martí.
Ancora negli anni ’50, il pubblico italiano conosceva la produzione letteraria ibero americana, sia romanzesca che poetica (con la sola eccezione di Neruda, probabilmente), quasi esclusivamente attraverso le pregevoli edizioni di Ugo Guanda di Parma, che oltretutto si occupava per lo più di poesia.
Il ponte tra due mondi che avevano vissuto per decenni in profonda osmosi attraverso il fenomeno delle migrazioni (a sua volta produttivo di una vasta e complessa letteratura: tipico il caso di Syria Poletti) venne gettato, questa volta, dall’Accademia, e in particolare da quell’ateneo, l’Università Bocconi di Milano, che su questi temi aveva mostrato interesse e sensibilità decisamente all’avanguardia per l’epoca. Fu qui che, a partire dal 1959, si tenne il primo corso di Letteratura ispanoamericana, che ottenne ampio concorso di studenti. A promuoverne l’istituzione fu Giuseppe Bellini, professore nell’ateneo milanese ed in quello di Parma, dove non a caso l’accademico avrebbe stretto con Guanda un fruttuoso sodalizio ed incrementato, già nei primi anni Sessanta, la presenza di poeti ispano-americani nelle collane della casa editrice parmense. Nel 1967, lo stesso anno in cui Asturias ricevette il premio Nobel, Bellini curò per Guanda l’edizione di un’antologia poetica dello scrittore guatemalteco, dal titolo Parla il Gran Lengua.
Fu proprio grazie alla mediazione di Bellini che si istituì il legame privilegiato di Asturias con l’Università Bocconi, prima, e con la Ca’ Foscari poi, quando lo studioso passò all’ateneo veneziano.
Merito fondamentale del volume curato da Patrizia Spinato Bruschi, che riproduce le lettere inviate da Asturias all’accademico italiano tra il 1959 ed il 1973, è quello di avere sottolineato il nesso inscindibile tra le istanze culturali e personali che legarono Asturias all’Italia in generale – al grande pubblico, ma anche all’Accademia – ed il rapporto umano ed intellettuale tra il premio Nobel e Bellini, mettendo in luce tanto l’importanza dell’esperienza italiana nella vita, nella produzione letteraria dello scrittore guatemalteco, nella costruzione della sua stessa immagine pubblica nel vecchio continente, quanto l’infaticabile opera di promotore culturale perseguita con convinzione, coerenza, sensibilità e gusto dallo studioso italiano.