L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) definisce l’obesità come una condizione caratterizzata da un eccessivo peso corporeo per accumulo di tessuto adiposo, in misura tale da influire negativamente sullo stato di salute. Non a caso partiamo dalla definizione di un’organizzazione internazionale che si occupa della salute. Difatti, essere grassi è di sicuro un problema individuale – chi non ha in mente i “grandi” ciccioni americani? – ma è anche e soprattutto un problema mondiale e di salute collettiva, non recente peraltro. È dalla metà dell’Ottocento che medici e specialisti hanno cercato di annoverare fra i propri pazienti anche gli individui grassi, provando a contrastare quello che è certamente un paradosso e un dramma nello stesso tempo delle nostre società1. Da una parte gli affamati, i “magri” – e sono tanti, oltre 800 milioni, secondo le più recenti stime della FAO – e dall’altra gli ipernutriti, i “grassi”, che si aggirano intorno al miliardo circa, stime appunto dell’OMS. Sommandoli, grassi e magri, siamo a più di un terzo della popolazione mondiale attuale. Il riferimento, va specificato, è ad una obesità causata da eccesso di cibo, non certo a quella dovuta a cause genetiche o endocrine. Altra questione.
La cosa incredibile nel mondo di oggi è che si spende più per dimagrire che per mangiare. Segnale che abbiamo davvero perso il valore del cibo, e non solo perché viene sprecato in quantità assai ingenti in tutto il mondo, ricco e povero (come più volte ricordato su queste pagine).
Insomma, l’obesità è un problema principalmente di salute pubblica, ma anche di immagine, sociale, di sanità e spesa pubblica. Il “grasso, grosso, paffuto” – dal latino obesitas: esum è il participio passato di ĕdere (mangiare) con ob (per, a causa di) aggiunto – soffre di tante patologie, che costano molto alla collettività. Sono le malattie – diabete, disturbi cardiovascolari, tumori … – delle società opulente, del benessere ma non solo di queste. I dati mondiali posizionano gli obesi non soltanto nei paesi ricchi ma anche in quelli poveri: dimostrazione che mangiare male – la malnutrizione – è una questione sanitaria e dunque anche economica globale. Ma di questo si sa molto. Come si sa che la fascia di età più a rischio è quella dei più giovani: basta fare un giro nelle scuole medie italiane per rendersene conto.
Meno noto è il problema dal punto di vista dell’immagine: l’obesità è infatti considerata uno stigma.
Se ne parla troppo poco. Vale la pena dire qualcosa.
Se è vero che ogni epoca e cultura stabilisce autonomamente quale sia il peso accettabile oltre il quale si diventa malsani, brutti e inaccettabili, l’obesità è stata spesso associata alla pigrizia e quindi stigmatizzata. Stigma, secondo la definizione più classica dei Greci, erano infatti i segni fisici associati agli aspetti insoliti e criticabili della condizione morale di chi li possedeva. Segni incisi o impressi con il fuoco, che rendevano chiaro a tutti che chi li portava era uno schiavo, un criminale, o una persona segnata che doveva essere evitata, soprattutto nei posti pubblici2. Tutto ciò portava al discredito dell’individuo.