LARRY MCMURTRY, Custer, Simon and Schuster, pp.178 , $ 35,00
CASTLE MCLAUGHLIN, A Lakota War Book from the Little Bighorn: The Pictographic “Autobiography of Half Moon”, Houghton Library/Peabody Museum Press, pp. 355, $ 50,00 (distribuito da Harvard University Press)
Nel giugno 1876, il colonnello George Armstrong Custer e cinque compagnie del Settimo Reggimento di Cavalleria degli Stati Uniti furono uccisi fino all’ultimo uomo dagli indiani Lakota e Cheyenne sulle colline sovrastanti il fiume Little Bighorn in quello che successivamente divenne lo stato del Montana. Gli americani si stanno ancora chiedendo come questo possa essere accaduto, ed è stato probabilmente inevitabile che Larry McMurtry, principale scrittore western del paese da almeno una generazione, giungesse alla fine a Custer, così come uno scalatore di montagne si dedica prima o poi all’Everest. Ma egli affronta le tenaci questioni del disastro di Custer da un’ottica indiretta, senza dichiarare quello che di fatto tutti gli altri scrittori annunciano con trombe e tromboni: una nuova interpretazione.
McMurtry è interessato all’uomo Custer. Castle McLaughlin invece è interessata al popolo che Custer cercò di sottomettere, cominciando dalla questione di fondo: chi essi fossero. Little Bighorn non è il soggetto di A Lakota War Book ma si staglia sulla vicenda come Dallas si staglia sulla vita di John F. Kennedy. I settantasette disegni di A Lakota War Book vennero tutti realizzati dai loro artisti Lakota e Cheyenne prima – probabilmente molti anni prima – della battaglia che rese Custer immortale.
Il Little Bighorn si guadagna un posto nel titolo di McLaughlin per caso, proprio perché i disegni furono trovati vicino al campo di battaglia in una capanna funeraria pochi giorni dopo la battaglia. I dettagli della scoperta sono abbastanza interessanti, ma sono gli stessi disegni – ciò che essi rappresentano e chi li fece – che ci danno una ricca e sorprendente visione della vita nelle Pianure del Nord negli ultimi anni prima che gli indiani, che pensavano di esserne i proprietari, fossero confinati nelle riserve.
Ma questa ricca e sorprendente visione non si presenta facile. Il libro descritto e analizzato da McLaughlin, curatrice del reparto etnografico nord americano del Peabody Museum di Harvard, è un lavoro a più mani: diversi artisti nativi americani, un artista e incisore bianco di Chicago attivo negli anni ’90 dell’800, un rilegatore e conservatore dello stesso periodo e un giornalista del ‘Chicago Tribune’ che si unì alle truppe americane sul campo un mese dopo la battaglia.
I disegni, quasi tutti fatti prima in bozza e poi colorati, sono di quel genere conosciuto come “ledger art”[1] perché la maggior parte di essi furono eseguiti su carta ricavata dai comuni libri mastri presi a uomini morti o avuti da commercianti o da avamposti militari a partire dagli anni ’60 dell’800. Comprendere i disegni richiede prima di tutto una vigorosa pulizia dai detriti, a cominciare dal caos introdotto dal giornalista, James W. Howard, che spesso firmava le sue cronache con il nome di uno statista ateniese, Focione.
Questo Howard acquistò il libro originale di disegni dal sergente John R. Nelson, che gli disse di averlo trovato con altri documenti il 28 giugno del 1876, dentro un sacco della posta lasciato in un tepee o capanna funeraria. Lo stesso libro era stato presumibilmente posseduto e firmato da un certo “J.S. Moore”. Howard traccia un profilo semplice del destino di Moore: lasciò Nebraska City per i campi agricoli del Montana nel giugno del 1866 e fu ucciso dagli indiani due anni dopo mentre stava tornando attraverso le montagne del Bighorn. Dagli scout indiani, inclusi il capo Shoshone Washakie e il Crow Jack Rabbit Bull, Howard imparò sui disegni abbastanza da scriverne un saggio introduttivo in seguito allegato al libro originale.
Nel suo racconto Howard trattava una serie di affermazioni e supposizioni come fatti reali: che i cinque indiani morti trovati nel tepee funerario fossero stati tutti uccisi nella battaglia tra l’esercito e gli indiani al Rosebud Creek una settimana prima del Little Bighorn; che uno di loro avesse fatto tutti i disegni sul “ledger book”; che i disegni degli scudi identificassero l’artista come Mezza Luna o Grande Tartaruga; che il libro scorresse all’indietro; e che i disegni fossero in effetti l’autobiografia di Mezza Luna. McLaughlin è indeciso sulla dichiarazione di Howard che gli indiani morti fossero caduti nella battaglia di Rosebud, ma il resto delle sue supposizioni le rigetta come completamente sbagliate prima di procedere a identificare che cosa sia realmente il libro.
Una veloce scorsa ai disegni fatta da un lettore casuale non avvezzo alla “ledger art” potrebbe lasciarlo o lasciarla a chiedersi quale sia la questione. Alcuni disegni sono poco più che graffi a matita. Gli altri, a uno sguardo veloce, sono rozzamente disegnati a due dimensioni e ripetitivi come soggetto – il tipo di cosa che gli ignoranti potrebbero dire che anche i bambini delle elementari possono fare. Ciò che è interessante nel libro di McLaughlin, nel modo in cui solo una ricerca esaustiva può essere veramente interessante, è la quantità di informazioni di base che lei riesce a spremere da questi disegni – quando furono fatti, chi li fece e cosa ritraggono. McLaughlin non fa grandi dichiarazioni su quello che ha intenzione di fare, ma A Lakota War Book dovrebbe comunque far parte della collezione di qualsiasi serio studioso delle pianure del Nord o del Little Bighorn. Lei cerca di dirci chi c’era dall’altra parte.