Marcello Bonini

Il sindaco del Rione Sanità di Mario Martone, la nostra recensione esclusiva

Mario Martone è un regista che ha fatto della pesantezza il proprio marchio di fabbrica, soprattutto nei suoi ultimi film. Noi credevamo, Il giovane favoloso e Capri-Revolution sono, tutti in modo diverso, drammi storici, che raccontano rispettivamente il risorgimento, il più grande poeta italiano, e l’isola campana a inizio ‘900. Con questi tre film Martone aveva iniziato anche a fare film sempre più lunghi, oltre che sempre meno avvincenti.

A questa Mostra del Cinema si era però presentato in modo diverso, portando in concorso una commedia. E non una commedia qualsiasi, bensì la trasposizione di un testo teatrale di Eduardo De Filippo, Il sindaco del Rione Sanità, storia di Antonio Barracano, malavitoso che come un novello Salomone passa le sue giornate a dirimere controversie tra gli abitanti del suo quartiere. Lo scorso anno Martone aveva già presentato l’opera a teatro, e, convinto della sua bontà, ha deciso di trasporla sul grande schermo. Il risultato? Pessimo.

Il regista napoletano dimostra di non avere idea di come portare il teatro al cinema. La sua è una trasposizione pedestre, in cui le poche idee sono le più scontate possibili e che quando ricorre agli strumenti del cinema lo fa male. Il tentativo è quello di prendere il testo e gettarlo nella sua integrità e letterarietà nel mondo contemporaneo. Un po’ come Baz Luhrmann fece nel 1996 con Romeo e Giulietta di Shakespeare, diventato il gangster movie postmoderno Romeo + Giulietta. Potrebbe ancora funzionare, se Martone non optasse per la più scontata delle modernizzazioni: rendere una commedia sulla malavita napoletana una puntata di Gomorra con le battute.

Luhrmann, pur mantenendo il testo parola per parola, aveva fatto detonare la tragedia grazie a una narrazione schizzatissima che si nutriva di tanto cinema passato e presente e della cultura dei videoclip, per poi rigurgitare un trionfo pop travolgentemente caotico. Martone ripropone invece gli stilemi più superficiali di Gomorra mettendoli in scena in modo piatto, trasformando la genialità di De Filippo in verbosità. Gli attori recitano le battute, lui li riprende. Basta.

Il suo intervento come regista cinematografico è limitato ai cambi scena. E forse in questi frangenti va pure peggio: dove a teatro si chiude il sipario tra un atto e l’altro, Martone inserisce delle sequenze di montaggio veloce che mostrano i personaggi spostarsi da un luogo all’altro accompagnati da musica rap napoletana. Se già vedere una volta in un film (odierno, ma non solo) una soluzione narrativa tanto mediocre infastidisce, immaginatela ripetersi ogni volta che il luogo o il tempo della storia cambiano.

La sottigliezza non è una delle caratteristiche del cinema di Martone, ne siamo consapevoli da anni. Ne Il giovane favoloso, ad esempio, per essere sicuro che il suo pubblico capisse che quello in scena era Leopardi, e che Leopardi era l’autore de L’infinito, mise il suo protagonista a sedere sull’ermo colle mentre recitava L’infinito guardando l’orizzonte. Mancava giusto un’insegna al neon con scritto “Questo è Giacomo Leopardi, il poeta che ha scritto L’infinito!”. Ecco, questa stesa grossolanità appartiene pure a Il sindaco del Rione Sanità, noioso e dozzinale, fallimentare sia nei suoi aspetti teatrali che in quelli cinematografici. Se riesce, ogni tanto, a strappare qualche risata, è merito degli attori e soprattutto del testo, non certo del lavoro di adattamento.

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Categorie: Cinema
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