Willy, massacrato perché voleva soccorrere un suo amico. Conosci l’odio ideologico, politico, razziale; conosci il fanatismo religioso e bellicoso, conosci la violenza per fame come accade agli animali e trovi una ragione perfino alla crudeltà di delinquenti che per derubare uccidono le loro vittime, o a persone che improvvisamente cedono alla follia e ammazzano.
Uccidere un ragazzo per sport, per esuberanza muscolare, per dimostrare la propria potenza, per esercitare il proprio potere di vita e di morte, è il gradino più basso della ferocia, quella senza motivo. Quando riduci un uomo, un tuo simile, a una cosa, quando ormai è a terra, a pezzi, e non può più nulla, e tu lo schiacci, lo prendi a calci in faccia, gli salti sul torace, non ha più senso chiedersi chi sei. Anche perché le intenzioni, la meditazione presuppongono una traccia di umanità, di umano discernimento. Qui no, siamo in una sfera dove bestiale o satanico sono solo metafore per dire che è ancora peggio, perché le belve più feroci di solito attaccano per fame, per difendere i loro cuccioli, il loro spazio vitale. Qui siamo oltre, nel Male allo stato puro, cioè impuro, e demente.
Da dove viene questa ferocia? No! No! Non tentiamo di dare un nome comodo, un indirizzo di palestra, una scuola di arti marziali, una federazione sportiva, davanti all’irruzione della ferocia allo stato sub-animale. No! Questo è “semplicemente un massacro raccapricciante, che coinvolge l’anima di un’intera umanità”.
Se dovessi cercare il clima, l’humus che alleva e favorisce questa degradazione assoluta, lo cercherei nel narcisismo malato della nostra società, nella perdita della realtà e del mondo, ridotti solo a sfondo per il proprio io, le sue pulsioni e malati desideri. Lo cercherei nel deserto di principi, nella caduta di ogni senso del limite, la vita esaurita negli istinti e negli istanti.
Sono un maestro di karate. Pratico ed insegno da oltre mezzo secolo questa disciplina che nasce per sopravvivere ma che, nel tempo e nel progredire della civiltà, si eleva ad arte, cerca lo spirito, aborra la violenza, rispetta l’avversario, ne difende l’incolumità. Valori universali a cui l’uomo dovrebbe ispirarsi qualunque cosa decida di fare nella vita. Guai confondere la nobile Via delle arti marziali con la bestialità disumana di questo branco inferocito e vigliacco.
Mi tocca anche se non vorrei. Mi tocca fare un distinguo fra sport e massacro sportivo. Sotto la sigla MMA si intrufolano più o meno legittimamente le cosiddette arti marziali miste. Dal karate, alla kik boxe, Muai Tai al Graw Maga, dal Judo al Jujitsu, dalla lotta libera al pugilato. Ho visto cimentarsi atleti preparatissimi tecnicamente, atleticamente perfetti, ma lo spettacolo che essi offrono rinchiusi in una gabbia metallica non può, non deve considerarsi sport. Tutto è concesso (pugni, calci, ginocchiate, gomitate, leve, soffocamenti), compreso infierire sull’avversario a terra anche quando non è evidentemente più in grado di reagire, e così si prosegue sino a quando l’arbitro, bontà sua, si deciderà ad interrompere l’incontro. Nasi maciullati, occhi sfondati, bocche deformate, e poi sangue, sangue dappertutto, sul corpo, sulla pedana, sull’arbitro, persino sulla prima fila di migliaia di entusiasti spettatori. Regressione alle arene romane, ai gladiatori morituri, al pane e circense per distrarre la folla assetata di violenza. No! Vi prego, non onoriamo col nome di “sport” questa ferocia esibita da atleti che, in quel frangente, non hanno più niente di umano.