FRANK BRADY, Endgame. Bobby Fischer’s Remarkable Rise and Fall. From America’s Brightest Prodigy to the Edge of Madness, New York, Crown, pp. 402, $ 25,99
Non riuscirei a scrivere con distacco di Bobby Fischer nemmeno sforzandomi. Sono nato nel 1963, l’anno in cui Fischer trionfò al Campionato USA con punteggio pieno: undici vittorie, senza sconfitte né pareggi. E, sebbene fosse appena ventenne in quel momento, era evidente già da qualche anno che fosse destinato a diventare una figura leggendaria. Il suo libro, Sessanta partite da ricordare (Mursia, 2008), fu uno dei primi e più preziosi oggetti legati agli scacchi che ho posseduto. Quando nel 1972 a Reykjavik Fischer strappò il titolo di campione del mondo al mio connazionale Boris Spassky, io ero già un discreto giocatore di circolo che aveva seguito ogni mossa degli incontri in Islanda. Nel suo cammino verso la finale, l’americano aveva schiacciato altri due Grandi Maestri sovietici1, e tuttavia molti nell’URSS ammiravano tacitamente il suo affascinante talento e la sua sfacciata individualità.