GIACOMO LEOPARDI, Canti, translated from the Italian and annotated by Jonathan Galassi, New York, Farrar, Straus and Giroux, pp. 498, $ 35,00
Giacomo Leopardi (1798-1837) soffrì di molti disturbi nel corso della sua infelice esistenza1 – asma, scoliosi, oftalmia, stitichezza, idropisia e depressione, per citarne alcuni –, ma l’insonnia è quello più strettamente associato al suo genio. Mentre tutti dormivano nella sua città natale, il piccolo borgo di Recanati, Leopardi rimaneva sveglio a leggere, scrivere, tradurre o fantasticare. Come figlio primogenito di un conte, poteva pretendere che i domestici di famiglia, nonostante la loro rabbia, gli servissero la prima colazione nel pomeriggio e il pranzo a mezzanotte. Mai in pari con i ritmi diurni del resto del mondo, era, nel miglior senso nietzschiano del termine, “inattuale”.
Leopardi trascorse la giovinezza tra gli antichi, in una delle più grandi biblioteche private d’Europa: quella di suo padre. Quando gli altri bambini della sua età ancora recitavano i tempi dei verbi, lui già padroneggiava la lingua latina e aveva imparato il greco da autodidatta, leggendo in ordine cronologico tutte le opere di autori greci trovate sugli scaffali del padre.