«Non c’è sentimento dell’uomo» ha detto S. Agostino «che non sia rappresentato nei Salmi come in uno specchio».
Immagini prese in ogni parte del mondo, dalle foreste africane ai grattacieli di New York; grandi pianure americane e le povere case vietnamite; le situazioni a noi più lontane come quelle a noi più vicine, nelle strade delle nostre città, tra le mura delle nostre abitazioni. Racconti minimali in video che accompagnano la forza e la poesia delle parole dei Salmi.
Grandi paesaggi naturali, ma non documentario naturalistico; la natura è interpretata, non oggetto di ammirazione, ma soggetto parlante, espressione e voce di una Entità al di fuori e al di sopra. Non solo paesaggi e natura, ma anche mondo animale e l’uomo. Un uomo sorpreso nelle più differenti espressioni culturali, mentre compie un rito sacrificale sui monti dell’Anatolia, oppure quando si appresta al lavoro sovrastato dall’ombra di acciaio, cemento e vetro slanciati verso il cielo. Discretamente la voce fuori campo raccoglie l’espressione di una comune esigenza (il sentire religioso) di cui le immagini provenienti dai più disparati angoli del mondo sono cariche.
Il modo di scrivere, il ritmo della parola nella Bibbia e nei Salmi è molto vicino al linguaggio visuale. Non vi sono definizioni concettuali, le idee vengono proposte attraverso le immagini e le suggestioni da esse create.
Non ci sono problemi di coerenza. è un modo di scrivere spesso abbandonato dalla educazione letteraria occidentale, ma che sorprendentemente è molto vicino al modo di procedere del linguaggio audio-visuale.
Una natura estatica e mutante, un’umanità colta nelle più differenti espressioni, ma che infine rivolge alla macchina da presa uno sguardo comune, una comune domanda.
E la Parola attraverso il video con discrezione risponde.
Per ricordare Lucio, una persona gentile e generosa, vorrei riportare una vicenda che mi ha visto collaborare con lui. Lo incontrai sul finire del ’91. Dal nostro lavoro insieme uscì una serie di considerazioni che non videro mai una pubblicazione e che di seguito vorrei presentare. Stimavo Dalla come autore e, avendo in mente un progetto di film basato sui testi biblici (una sorta di Koyaanisqatsi con aggiunta di parole scelte fra i vari libri della Bibbia), stavo provando da tempo ad incontrarlo per proporgli il commento musicale al film. Avere il suo nome come autore delle musiche avrebbe accelerato la fase produttiva del film. In questo paese, in cui se vai ad un incontro e trasformi in oro il portacenere del potente interlocutore di turno, se non sei ‘presentato’, la risposta che ottieni è ‘Interessante, le farò senz’altro sapere qualcosa nelle prossime settimane (che diventano ovviamente la notte dei tempi)’, avere un nome noto che funga da etichetta lasciapassare per accedere al mondo degli aventi parola, è una delle poche tattiche cui è concesso di sortire qualche effetto. Realizzai un video su due testi biblici (due Salmi) e riuscii ad incontrarlo finalmente nel suo studio. Osservò i miei lavori e disse una cosa talmente elogiativa che non riporterò per non incorrere nel peccato di presunzione. Decise poi, di comune accordo con i suoi consiglieri, che prima del film sulla Bibbia si sarebbero realizzati tutti i 150 Salmi in video. Trovavo la scelta inopportuna perché dieci sarebbero stati sufficienti anche per il più devoto dei cristiani. Ma mi fu spiegato dai consiglieri che se non li avessimo fatti tutti, poi qualcun altro avrebbe realizzato i restanti sfruttando il nostro traino. Quindi tutti e centocinquanta, sei ore di video. Impiegai un anno e mezzo a realizzarli tutti. Lui fece la musica come d’accordo, e li produsse al cinquanta per cento con la mia società. A inizio ’93 li presentammo e la stampa diede grande risalto al progetto con una infinità di interviste a Lucio, di cui già si conosceva la sentita fede cristiana. Era un periodo di consistenti rivolgimenti politici conseguenti alla messa in evidenza di un degrado morale di dimensioni bibliche (per rimanere in qualche modo in tema) che non si sapeva esattamente a cosa avrebbe condotto. Il mio progetto risaliva ad una decina di anni prima e le ragioni della sua nascita sono sintetizzate nel documento che segue questa presentazione. A fine ’93 inizio ’94 sentii che da parte della società di Dalla, che produsse i Salmi con noi, vi era improvvisamente una freddezza sul progetto che non mi spiegavo. Era il momento di lanciarlo, perché si rifiutavano improvvisamente le numerose interviste richieste? Ne chiesi ragione ai consiglieri di Lucio, i quali mi dissero che il forte impatto mediatico che aveva avuto la cosa stava spostando l’immagine del cantautore mettendo a rischio il rapporto con il suo fidato pubblico, sostanzialmente molto laico. Produssi quindi il documento qui di seguito riportato e lo feci leggere a Lucio. Il commento che fece non lo riporto per evitare di influenzare l’eventuale vostra lettura.
Detto questo, vorrei aggiungere che si comportò in modo molto leale con me e sempre in modo rispettoso e gentile. Cosa rara per qualsiasi avente parola da che mondo è mondo.
Roberto Quagliano
Si è parlato molto sulla stampa del progetto dei Salmi in video. Credo in termini imprecisi e vorrei spiegare perché.
Il tentativo di tradurre in un lavoro per la televisione e l’home video un testo sacro risale a diversi anni fa. Non si tratta di un adattamento dei versi in sceneggiatura, il testo rimane integro, la sua bellezza non contaminata. Solo, ad esso viene abbinata una musica contemporanea ed immagini raccolte dalle più svariate realtà umane e naturali. Non vi è ricerca filologica o musicologica sulle radici o sull’utilizzo di questi testi. Semplicemente avevo notato che l’integrità del testo può essere felicemente abbinata alla libertà della interpretazione in video.
Due anni fa mostrai il progetto a Lucio Dalla il quale apprezzò la novità della proposta ed il suo carattere di ricerca nel campo della comunicazione e mi propose di fare lui stesso le musiche di accompagnamento. Da quel momento il progetto ha preso l’avvio. La stampa ne ha parlato molto, ma spesso senza preoccupazione di vedere in pratica di cosa si trattasse. “Dalla musica i Salmi della Bibbia” è diventata una sorta di notizia da rotocalco rosa che non si addice alla serietà artistica e umana che ha sempre contraddistinto questo autore.
Lucio Dalla ha apprezzato il carattere sperimentale dell’operazione (che vorrebbe inaugurare tra l’altro una collana di videoletteratura soprattutto con titoli al di fuori delle tematiche religiose) ed ha colto l’occasione per produrre una serie di composizioni che si potrebbero definire in stile new-age. Nessuna crisi mistica e nessuna illuminazione, solo un progetto di lavoro che vuol proporre ambiti nuovi. Come sia nato il progetto e per quali ragioni vorrei di seguito raccontare per chiarirne il senso.
Il percorso è piuttosto lungo e in esso si sono intersecate casualità e intenzionalità, ma in definitiva vi si può individuare un itinerario voluto.
Alla fine degli anni Settanta, quando una forte cultura di sinistra era egemone in tutti i campi del sapere artistico e della produzione culturale, capitava che mi chiedessi come mai entrando in una delle tante chiese della mia città (cosa che facevo molto di rado) sentissi così forte il fascino delle sue vecchie mura, delle sue luci, del suo silenzio, del suo profumo. Era un’epoca in cui (nel ’76 la sinistra storica aveva fatto un passo avanti elettorale che faceva presumere una sua rapida conquista del potere, ed in effetti, in molte situazioni, locali e non, questo potere lo raggiunse) l’egemonia della sinistra in campo culturale era appunto talmente forte da avere in qualche modo condizionato anche i modelli culturali alternativi ad essa. Non era possibile pensare e proporre cose che sarebbero state giudicate di volta in volta borghesi, fasciste, imperialiste, filoamericane, da parrocchia, consumiste, maschiliste, ecc. Anche chi non condivideva questa impostazione vi si assoggettava, probabilmente senza consapevolezza di farlo, in preda a un miscuglio di timore reverenziale verso l’egemone e di senso di colpa derivato dalla convinzione non ammessa che in definitiva questa cultura egemone rappresentasse la difesa del giusto. Timore per l’aggressività con cui la sinistra comunista, nelle sue forme istituzionali a parole e nelle sue forme illegali coi fatti, esprimeva la condanna di qualsiasi proposta culturale alternativa alla propria. Senso di colpa indotto da un condizionamento psicologico arrivato al punto di far credere ai detrattori della sinistra che in fondo la motivazione del loro stesso agire e pensare fosse il meschino interesse personale. Erano essi stessi convinti che la verità storica fosse dalla parte di chi la interpretava seguendo il modello del materialismo dialettico e da questo derivavano il senso di colpa. Erano convinti di interpretare nel teatro della storia la parte del cattivo destinato alla sconfitta. Poco importa se i singoli individui dentro di sé percepissero in modo diverso, le istituzioni, che erano emanazione della cultura alternativa a quella della sinistra, si comportavano secondo il modello sopra descritto. Com’è ovvio ciò rappresentava una tendenza e non la totalità dell’esistente.
La cultura italiana è stata quindi condizionata da questo processo a partire dalla fine degli anni Sessanta fino ad oggi (eravamo nel ’93). Negli organismi di gestione culturale a rappresentanza partitica ha avuto la meglio da molti anni la cultura della critica. Si potrebbe dire che nel gioco di compromessi incrociati che caratterizzano la politica italiana, la cultura sia stata lasciata in ostaggio alla sinistra per potersi concentrare meglio su quelle aree di potere da cui maggiormente dipendono gli elementi strutturali della società.
Sta di fatto che si è operato uno scollamento fra livello strutturale e livello sovrastrutturale nella società italiana, proprio per il fatto che l’uno e l’altro fanno capo a due differenti modelli interpretativi e di interesse.
Alla fine degli anni Settanta questo scollamento era così profondo da creare fenomeni dirompenti. Anche il terrorismo può essere visto come frutto di questo scollamento. Da una parte la gestione del potere politico ed economico era rimasta grosso modo nelle stesse mani di sempre e dall’altra la cultura della critica (che si manifestava soprattutto nei grandi mezzi di comunicazione di massa: cinema, stampa, musica, teatro) che spingeva in direzione alternativa seguendo soprattutto due filoni principali: l’impegno politico serio e serioso (cinema impegnato, canzone d’autore ecc.) e satira politica. Questa cultura della critica o cultura critica, figlia della pretesa illuminista di realizzare la società perfetta, non aveva valori pragmatici immediatamente realizzabili da proporre, aveva valori da distruggere. I suoi valori erano valori filosofici, astratti: uguaglianza, libertà. I suoi metodi erano a volte molto concreti. Sotto l’incalzare di questa offensiva, i gruppi di potere non hanno risposto proponendo i valori cosiddetti tradizionali: la famiglia, la patria, la religiosità, il rispetto del prossimo attraverso il rispetto delle leggi, l’onestà, ecc., ma hanno fatto finta di niente, come se non credessero nei valori astratti della cultura critica, ma neppure nei valori tipici della cultura tradizionale di cui erano, almeno programmaticamente, emanazione. Hanno lasciato la difesa di questi valori a chi, per mancanza di pratica e di intelligenza dei nuovi mezzi di comunicazione, li riproponeva in modo rituale e sostanzialmente con un’ottica da retroguardia in fuga.
Tornando al nostro progetto, mi sorprendevo, entrando in una chiesa della mia città, di quanto fosse forte il fascino e la suggestione esercitata dalle sue vecchie mura. Osservando il panorama della proposta culturale intorno a me, notai che la cultura contemporanea non prendeva minimamente in considerazione questo fascino e le ragioni del suo prodursi. Il sentire religioso e tutto ciò che ad esso attiene era ignorato. I mezzi di comunicazione di massa scandagliavano (e scandagliano) ogni aspetto della realtà, perché mai allora ignoravano situazioni così forti da suggestionare un individuo così lontano dalle istituzioni religiose come me e da convincere un numero consistente di individui a dedicarvi addirittura la vita? La furia conoscitiva e l’enfasi informativa vorticavano intorno a questi luoghi. Le correnti principali della vita culturale scorrevano ignorandoli, e questi stavano come gorghi fra una corrente e l’altra, girando su se stessi dimenticati da tutti.
Era una situazione sospetta che nascondeva qualcosa di più profondo del “sono cose di altri tempi”. Guardando bene, mi accorsi che un altro settore della società italiana, quello militare, era ignorato, oppure di volta in volta tacciato di fascismo, gollismo, o nella migliore delle ipotesi deriso. Eppure tanti uomini e donne dedicavano (e dedicano) la loro vita a questi due ambiti della società italiana: quello religioso e quello militare. Tanti uomini e tante donne che chiudono (o aprono) la loro vita in un convento, che si dedicano ad attività assolutamente in controtendenza rispetto ai “valori” della società circostante. Tanti uomini che dedicano la loro vita o quanto meno occupano gran parte della loro esistenza per servire quelle istituzioni che rappresentano la salvaguardia, la difesa e l’unità del territorio nazionale.
Come mai la furia informativa si era dimenticata di loro?
Non erano forse uomini degni come gli altri?
Patria e difesa del territorio nazionale erano parole poco di moda, per cui o le si ignoravano o le si deridevano e insultavano. Il silenzio su questi settori di realtà mi incuriosiva, per cui decisi di occuparmi di questi con due progetti che partivano da una ricerca svolta sull’esperienza di chi aveva fatto questa scelta di vita.
Ripensando al periodo in cui feci quella ricerca ho compreso come queste due sfere di attività umana siano state non casualmente negate e dimenticate. Ma vorrei fare a questo punto un salto indietro o, per meglio dire, da un’altra parte. Il cinema americano in quello stesso periodo (come del resto fin dalla sua nascita) si occupava del mondo religioso e di quello militare con profondità e varietà di atteggiamenti e di toni. La cultura americana d’altra parte si è sempre occupata di tutti i singoli aspetti e ruoli presenti nella società di cui è espressione, ed ogni volta, anche quando la critica verso la gestione del potere era più forte, riaffermava comunque i valori supremi a cui ogni cittadino americano, al di là delle differenti posizioni sociali e al di là della razza, doveva fare riferimento. E sono i valori che costituiscono quella particolare religione civile che ha per esempio tenuto lontano dagli Stati Uniti ogni rischio di potere totalitario (questo scritto precede di sette anni l’avvio dell’era Bush). Ciò che non si può dire per le nazioni europee e tanto meno per l’Italia.
Ritenevo che abbandonare a se stessi questi settori, quello religioso e quello militare, potesse condurli nelle mani della restaurazione più cieca o di quelle forze che non hanno mai creduto nella democrazia. Era (ed è) necessario costituire anche da noi una religione civile che avesse valori da proporre e credibilità e dignità da mostrare.
Portai quindi avanti questi due progetti proponendoli a chiunque avesse possibilità di produrre, nel settore pubblico e in quello privato.
Le risposte variavano da “Sì certo, lei ha perfettamente ragione…” che si dice ai pazzi, a “Al pubblico non frega un… di quello che fa l’esercito italiano (detto da un famoso capostruttura e democristiano di ferro della RAI)”. Sostanzialmente, per anni, non trovai alcun interesse intorno a questi temi. E dire che queste sono realtà primarie per la costituzione di qualsiasi società. ‘Sacerdoti’ e ‘guerrieri’ sono stati da sempre i depositari di valori comunque fondanti della comunità. I sacerdoti mantengono viva (dovrebbero mantenere viva) l’attenzione intorno ai valori che costituiscono patrimonio comune per chi ha sottoscritto il patto sociale e i guerrieri sorvegliano e in caso difendono con le armi, e quindi con la guerra, quegli stessi valori. Si può discutere l’attualità e la opportunità di questi valori, ma non li si può ignorare o prendere in considerazione solo per farsene gioco nei monologhi degli innumerevoli cabarettisti e comici politicamente schierati. Avendo esautorato sacerdoti e guerrieri sono rimasti i politici e i mercanti a gestire il senso sociale della comunità, il senso comune. E i giudici, che sono chiamati a esprimersi sulle dispute che sorgono fra questi due gruppi e all’interno dei gruppi stessi. Ma nessuno di questi tre gruppi è portatore di valori: i politici amministrano la cosa pubblica secondo le regole e aggirando le regole, ma il valore che le ha ispirate è ormai così lontano e ignorato che le regole si sono trasformate in gusci vuoti. Qualcuno scambia la democrazia per un valore, ma la democrazia è un semplice involucro. Non riempito di valori perde di senso. Che cos’è la democrazia se non si tiene conto del bene del prossimo, se non si salvaguarda e si difende, anche duramente, la famiglia, se non si riesce ad esaltare le virtù dei generosi? I mercanti stessi non sono portatori di valore, la loro categoria è definita dalla necessità di far quadrare il bilancio, quali valori potrebbero portare se non quello di trarre il massimo profitto dal proprio lavoro? Per accumularlo per sé e per i figli e per ostentarlo al prossimo. Ai giudici è richiesto di esprimere pareri conformi alle regole e sulla conformità alle regole e non giudizi di valore.
La nostra società è materialista perché coloro che sostenevano i valori e lo spirito delle regole e delle leggi sono stati allontanati, sono stati chiusi nei templi e i templi sono stati murati. Politici e mercanti si contendono il potere e non hanno neanche più la voglia di dire che lo fanno nel nome di qualche ideale. I singoli, attoniti, si guardano intorno cercando confusamente un senso che continua a sfuggire perché non esiste.
Per questo motivo è nato un progetto come quello relativo ai Salmi, perché quella dimensione dell’uomo che attiene al sentire religioso non può essere solo trascurata o derisa.
Guerrieri e sacerdoti, portatori e custodi dei valori, sono stati allontanati, quantomeno dal romanzo e dal racconto che la nostra cultura ci offre di se stessa.
Il rischio è che politici e mercanti rimangano, soli, a gestire le leggi e le regole, ed allora possiamo scoprire che il territorio nazionale diventa un disegno su un pezzo di carta, la moglie e i figli possono essere cambiati al pari della macchina, l’interesse personale diventa l’unico metro di giudizio, e Dio diventa tre lettere in una bestemmia (la discesa in politica di Berlusconi risale all’anno dopo la stesura del testo).
Tocqueville diceva che mal convivono un forte sviluppo delle libertà democratiche con lo svuotamento del sentimento religioso. Vale forse la pena di prendere in considerazione questa ipotesi?