Maurizio Serra,Malaparte. Vita e leggende, Venezia, Marsilio, 2012, trad. dal franc. di A. Folin, pp. 587.
LETTERATURA: Michela Nacci, recensisce il saggio di Maurizio Serra che racconta la vita (e le leggende) di uno dei più importanti (e discussi) autori italiani del secolo scorso: Curzio Malaparte.
Strano genere, le biografie. Mettono al centro un personaggio, dedicano cure meticolose ad appurare il dettaglio più insignificante che lo riguardi, ne ricostruiscono vicende pubbliche e private, successi e sconfitte, opere date alle stampe e scritti inediti (se si tratta di intellettuali), raccolgono quando è possibile le testimonianze di chi lo ha conosciuto, vanno a cercare nella letteratura coeva le tracce che vi ha lasciato. Mentre fanno tutto questo, magari si accorgono che il personaggio scelto quale oggetto della biografia è antipatico o peggio. C’è un detto in Francia che suona così: «Mieux on se connaît plus on s’aime.» Ma è vero anche il contrario: a volte la conoscenza intima della vita di qualcuno mostra questo qualcuno sotto una luce peggiore di quando lo conoscevamo da lontano, rivelando abissi di egoismo, ipocrisia, malvagità, che non ci aspettavamo di trovare.
Questo non può essere il caso per Malaparte. La sua fama è talmente negativa, se non altro nel suo paese, che una ricostruzione della sua vita non può scoprire i difetti del personaggio ma eventualmente solo precisarli. I difetti in Malaparte sono infatti esibiti senza pudore e considerati come se fossero qualità: l’esibizionismo e il bisogno di successo, il desiderio di essere considerato il più grande, e dunque il consigliere del Principe da una parte politica o da quella opposta, la voglia di conoscere da vicino le persone importanti, di essere pagato profumatamente, di essere nei posti chiave dell’informazione, della politica, della letteratura, il camaleontismo a seconda di chi vince in quel momento, le menzogne a ripetizione soprattutto su se stesso e sulle sue disavventure, i suoi amici, le sue scelte. Le malefatte, il doppio gioco, le svolte repentine, sono nascosti in modo talmente goffo da risultare in lui doppiamente sgradevoli: la prima volta perché li ha vissuti, la seconda perché ha imbrogliato le carte per negare di averli vissuti. Questo vale in primo luogo, e soprattutto, per la sua adesione al fascismo. Il tratto dell’antipatia caratterizza fin dall’inizio questa biografia di Malaparte, e non è affatto nascosto dall’autore. I suoi capelli pettinati all’indietro e unti, così come unto d’olio è tutto il suo corpo, sono un po’ la cifra del personaggio: smisuratamente ambizioso ed egocentrico e disposto, pur di arrivare, a non lesinare piaggeria e lodi a chi può essere utile ai suoi obiettivi.
Erwin Suckert (questo il suo vero nome) nasce a Prato nel 1898 da padre tedesco e madre milanese, e italianizza nel corso degli anni il suo nome in Curzio Malaparte. Le tappe della sua vita: partecipa come volontario alla Prima guerra mondiale, aderisce al fascismo, è in prima fila nel 1925 a chiedere fermezza a Mussolini per una sterzata autoritaria subito dopo l’uccisione di Matteotti. Fa parte del gruppo di Strapaese. È per due anni direttore della “Stampa”, dalla quale nel 1931 viene allontanato improvvisamente con una liquidazione milionaria. Si reca a Parigi dove ha un grande successo e traduce in francese Tecnica del colpo di Stato, che era uscito nel 1931. Vorrebbe intraprendere la carriera diplomatica, e si aspetta che la sua fedeltà al regime – dimostrata da una assidua e radicale presenza giornalistica su pubblicazioni come “La conquista dello Stato” – sia premiata in tal modo, ma ciò non accade. Non diviene mai un autore ufficiale del fascismo italiano, non gli vengono assegnate le cariche di prestigio a cui ambisce, anche se è ben riconoscibile come fascista. Ha una baruffa con Italo Balbo, che si lamenta di lui con Mussolini. A questo punto, nel 1933, è espulso dal PNF e condannato a cinque anni di confino a Lipari: il soggiorno viene ridotto a un anno e mezzo, viene spostato a Ischia su sua richiesta, gli viene concesso tutto quello che chiede, e quando rientra ha il permesso di fare ciò che vuole. Quando il fascismo cade, si smarca immediatamente: tenta un avvicinamento al PCI, dove Togliatti è molto bendisposto nei suoi confronti anche se frenato dal partito, ma senza che emerga niente di concreto. Un secondo avvicinamento avviene tramite un viaggio in Cina organizzato dal PCI. Malaparte è conquistato dal comunismo cinese e invia corrispondenze entusiaste. In Cina si ammala gravemente, viene ricoverato e curato in ospedali cinesi, e infine trasportato in Italia dove pochi mesi dopo muore. Siamo nel 1958.