MARY FULBROOK, A Small Town Near Auschwitz: Ordinary Nazis and the Holocaust, Oxford University Press, pp.421, $34.95 SÖNKE NEITZEL, HARALD WELZER, Soldaten. Combattere uccidere morire. Le intercettazioni dei militari tedeschi prigionieri degli Alleati, trad. it.di S. Sullam, Garzanti 2012, pp. 460, € 24,50
STORIA: Christopher Browning, già autore di Uomini comuni. Polizia tedesca e «soluzione finale» in Polonia, recensisce due saggi che indagano, ognuno di essi sotto punti di vista diversi, su come civili e soldati tedeschi “comuni” parteciparono volontariamente alle politiche razziali e allo sterminio degli ebrei durante l'epoca Nazista.
La consapevolezza crescente dell’Olocausto nella cultura accademica come nella società in generale, è divenuta evidente nei tardi anni ’70 e si è intensificata nei tardi ’80. Al principio, importanti ricerche si focalizzarono sui differenti ruoli di Hitler, sull’ideologia Nazista e sulla struttura della dittatura nel dare forma al processo decisionale che condusse all’Olocausto. La ricerca si concentrò pure sulla complicità delle varie professioni e istituzioni con il Terzo Reich e in particolare con le SS. Era all’epoca ancora carente lo studio empirico attento di come la politica razziale Nazista fosse stata sostenuta anche dai tedeschi “normali”.
Due fatti negli anni ’90 hanno alterato questa situazione. Il primo è stata la pubblicazione del mio libro Uomini comuni. Polizia tedesca e «soluzione finale» in Polonia (Einaudi) nel 1992, subito seguito dal libro di Daniel Goldhagen I volenterosi carnefici di Hitler (Mondadori) del 1996. Il secondo fu la mostra organizzata dall’Istituto di Amburgo di Ricerca Sociale, “Guerra di Annichilimento: i crimini della Wehrmacht tra il 1941 e 1944”, che girò in lungo e in largo per la Germania tra il 1995 e il 1999 e produsse sia grande attenzione che notevoli controversie. Uomini comuni e I volenterosi carnefici di Hitler concentravano la loro attenzione sul Battaglione 101 della Riserva della Polizia come caso emblematico, poiché il suo comandante aveva apertamente concesso ai suoi uomini – gente arruolata casualmente, riservisti di mezza età con un basso livello di partecipazione alla vita del partito e scarso training politico e indottrinamento ideologico – l’opzione di non partecipare alle esecuzioni di massa di ebrei in Polonia. Ciononostante la grande maggioranza di loro non si avvalse di questa opzione.
Entrambi i libri dimostravano che gli uomini tedeschi “comuni” – e non solo fanatici e ideologi delle SS attentamente selezionati e indottrinati – divennero assassini di massa. Ma i due libri differivano significativamente nel cercare di spiegare questo fenomeno di partecipazione non coatta. Io avevo posto l’accento sulle caratteristiche universali della natura umana e sui fattori psicosociali nel formare le dinamiche di gruppo, come per esempio il conformismo, la deferenza nei confronti dell’autorità e l’adattarsi a ruoli relativi al lavoro di unità di occupazione che hanno il compito di controllare un territorio nemico durante la guerra. Goldhagen poneva l’accento sulla particolarità della cultura tedesca nella forma di ciò che egli descrive come un atteggiamento “eliminazionista” antisemita profondamente radicato, che spinse praticamente tutti i tedeschi a desiderare la morte degli ebrei e poi ad ucciderli con crudeltà entusiastica quando gli fu data l’opportunità di farlo di persona.