Il documentario di Andrew Rossi Ivory Tower ci sprona a pensare alla crisi dell’istruzione superiore. Ma c’è una crisi? Costose scelte a rischio, ammanchi imprevisti e investimenti la cui opportunità deve ancora essere stabilita hanno fatto aumentare il prezzo dell’educazione universitaria a livelli così alti che oggi in media costa undici volte in più di quanto costava nel 1978. Alla base dell’ansia riguardante il valore della laurea c’è il sospetto che i vecchi metodi e le vecchie conoscenze saranno presto superati dalla tecnologia.
In realtà, come il film accuratamente registra, i leader americani nel campo dell’educazione sembrano credere che la tecnologia sia una forza che – indipendente dall’intervento umano – aiuterà o indebolirà la condizione delle università nella prossima generazione. Forse, pensano, la selezione naturale estirperà le specie non adatte all’insegnamento e all’apprendimento. La preoccupazione più forte è che, tranne pochi college e università, le altre verranno presto tagliate fuori dal mercato.
Un tempo si credeva che la laurea presa in un’università statale o privata prestigiosa portasse con sé un lavoro, un lavoro con una potenzialità di guadagno sufficientemente consistente da consentire una vita lontano dai propri genitori. Ma i genitori ora stanno pagando più di quanto abbiano mai pagato per il college; e dall’altra parte il lavoro non sta arrivando in maniera così conseguente. «Anche con un master», dice eloquentemente nel film una giovane donna, laureata all’Hunter College, «non potrei trovare lavoro neanche per pulire i bagni dell’hotel locale». Le università sono criticate per la mancanza di prospettive di lavoro che offrono, benché per ragioni che sono a volte oscure. Insegnano troppe cose, si dice, o impartiscono conoscenze che non sono sufficientemente utili; chiedono troppo agli studenti o troppo poco. Soprattutto, non sono collegate a quei settori dell’economia in cui si possono trovare lavori ambiti.
La maggior parte delle attuali lamentele sono causate da un’idea sbagliata delle caratteristiche appropriate di un’istruzione universitaria. Michael Oakeshott, che ha definito con grande acutezza gli studi universitari una “pausa” dalle occupazioni pratiche, ha descritto l’errore in questione come la teoria dell’apprendimento basata sul rispecchiare la società. In generale, questa teoria afferma che i contenuti dei corsi del college devono riflettere la composizione e le varie culture presenti nella nostra società. Fino al punto, per fare un esempio estremo che nessuno ha mai messo in pratica, che dal momento che i cattolici rappresentano il 25 per cento della popolazione degli Stati Uniti, un quarto dei programmi di studio dovrebbe essere dedicato alle esperienze e al credo dei cattolici. La teoria del rispecchiare la società ha avuto una lunga storia in America e per cause che non sono difficili da scoprire. Per le persone che vogliono vedere la democrazia estesa ad aree della vita che si trovano fuori dalla politica, porta con sé un fascino irresistibile.