Una delle più durature delizie e sfide nello studio del mondo antico, e dell’Impero Romano in particolare, è la sensazione contrastante di familiarità ed estraneità che caratterizza i nostri molti approcci ad esso. È come un grande palazzo, visibile da lontano, alla fine di una strada dritta che attraversa quello che sembra essere un terreno pianeggiante. Solo quando ci avviciniamo riusciamo a vedere chiaramente, sul bordo di un grande canyon, invisibile dalla strada, che questo ci separa dal monumento che cerchiamo. Realizziamo che stiamo guardando questo mondo attraverso un dislivello a strapiombo e silenzioso di duemila anni.
L’antichità è sempre più strana di quanto pensiamo. Nulla si dimostra essere più strano di ciò che una volta immaginavamo fosse familiare. Da sempre sapevamo che i romani praticavano molto sesso. In realtà, nell’opinione dei nostri vecchi, essi probabilmente lo praticavano molto più di quanto fosse per loro giusto. Sappiamo da sempre anche che i primi cristiani avevano un acuto senso del peccato. Abbiamo la tendenza a pensare che avessero un senso del peccato molto più forte di quanto avrebbero dovuto avere. Altrimenti sarebbero stati come noi. Fino a poco tempo fa, gli studi sul sesso a Roma e sulla cristianità nel mondo romano erano avvolti in un involucro di ingannevole familiarità.
Solo nell’ultima generazione abbiamo messo in luce il dislivello a strapiombo e stuzzicante di quel canyon che giace tra di noi e un mondo che tendevamo precedentemente a considerare per assodato come immediatamente disponibile per le nostre stesse categorie interpretative. “Revealing Antiquity”, la collana dell’Harvard University Press a cura di Glen Bowersock, ha giocato la sua parte nell’instillare in noi tutti un salutare senso di vertigine quando scrutiamo dal bordo quel mondo affascinante ma profondamente strano. Il libro di Kyle Harper From Shame to Sin: The Christian Transformation of Sexual Morality in Late Antiquity(Dalla vergogna al peccato: la trasformazione cristiana della moralità sessuale nella tarda antichità)è un contributo brillante a questa collana. Non solo dà conto dell’esatta natura della tensione tra il familiare e il profondamente inconsueto che giace dietro la nostra immagine della moralità sessuale dei greci e dei romani nell’Impero Romano del periodo classico. Esso va avanti anche evocando la semplice, imprevista stranezza del codice sessuale molto particolare elaborato nei primi circoli cristiani, e la sua istantanea, ampiamente imprevista, minaccia portata a un equilibrio sociale molto antico nei due secoli che seguirono la conversione di Costantino al cristianesimo del 312. Come Harper rende chiaro dalla prima pagina del suo denso e vivace libro: «Pochi periodi della storia pre-moderna hanno vissuto un cambiamento ideologico così rapido e significativo. Il sesso fu al centro di tutto ciò».
Perché? È una domanda che è stata spesso posta in tempi recenti. Quello che è originale nel libro di Harper è il suo approccio alla questione, e la causticità con cui offre una risposta. Questa risposta è basata su una valutazione delle strutture sociali della vita vera dell’Impero Romano classico e degli irrevocabili cambiamenti portati nella sfera pubblica, negli ultimi secoli dell’Impero, dall’arrivo al potere di una minoranza cristiana fino ad allora alienata e perfezionista.