451’ propone una rubrica di narrativa inedita all’interno della quale diamo spazio a racconti, incipit ed estratti di romanzi, incoraggiando da parte dei nostri lettori l’invio di un testo di circa 14.000 battute all’e-mail 451@econometrica.it
Il mare, ho sempre amato il mare. Il mare fatto d’acqua, terra fluida sotto i piedi che ti sospinge come Gulliver sul palmo di una mano. Nel mio caso la mano è un vecchio gozzo bianco, azzurro e rosso sangue, l’unico legno a non aver paura di terre di frontiera come questa. Guardo gli scogli aguzzi che si avvicinano nella lenta navigazione, ho il piede destro sul bordo della murata di vernice blu. La marea si fa sentire e il pescatore che guida la barca si è spinto un po’ imprudentemente all’interno dello stretto corridoio di rocce che conduce alla terra ferma. La barca rallenta e in un istante sospeso, incerto, il pescatore aggrotta le ciglia e con la punta di cenere ardente della sigaretta, penzolante dall’angolo del labbro rinsecchito, mi fa cenno di saltare. La barca indietreggia, il tizio non mi saluta, mi guarda e basta, voltandosi di tanto in tanto a misurare le insidie delle rocce alle sue spalle. Guarda anche me come fossi una minaccia, per lui, per l’isola, per chi non so, poi urla: «Quannu mi cerca pi turnari, addumasse ’a radio.» (Quando mi cerca per tornare, accenda la radio.)