PAULA FREDRIKSEN, Sin: The Early History of an Idea, Princeton University Press, pp. 209, $24.95
ISABEL MOREIRA, Heaven’s Purge: Purgatory in Late Antiquity, Oxford University Press, pp. 310, $65.00
RELIGIONE: Il grande storico inglese Peter Brown recensisce due saggi che ricostruiscono la storia dell’idea del peccato dalla nascita della religione cristiana fino al Medioevo.
Si dice che una volta il presidente Calvin Coolidge, poco convinto frequentatore di chiese e uomo notoriamente laconico, interrogato dalla moglie su quale fosse l’argomento del sermone che aveva appena ascoltato in chiesa, abbia risposto con una sola parola: «peccato». Sollecitato ad approfondire quanto detto dal predicatore, egli si limitò a rispondere: «era contrario».
Il vivace libretto di Paula Fredriksen è concepito allo scopo di far scattare sulla sedia anche il più inerte tra i praticanti. In tre capitoli ella ripercorre la storia dell’idea di peccato nei primi secoli del cristianesimo. Lo fa prendendo alcune grandi figure di ogni secolo ed esponendo le loro distintive teorie sul peccato: Gesù di Nazareth e Paolo nel primo capitolo; Marcione, Valentino e Giustino Martire nel secondo, Origene e Agostino nel terzo.
Essi rappresentano un notevole cast di personaggi. Alcuni, come Gesù di Nazareth, San Paolo, e Sant’Agostino, non hanno bisogno di presentazioni. Ma Marcione, Valentino, e Giustino Martire (che sbocciò intorno alla metà del II secolo), e anche il grande Origene (che visse mezzo secolo più tardi) appartengono a un cristianesimo profondamente sconosciuto alle persone più moderne. Giustino Martire fu accettato come ortodosso dalle successive generazioni di cristiani. Ma molti fra gli altri arrivarono a essere considerati eretici. Marcione fu condannato per aver trattato il passato ebraico come irrilevante per il cristianesimo. Valentino considerava l’universo un enorme errore, causato dalla ribellione di invidiose potenze soprannaturali. Origene, sostenevano i suoi nemici, si era evirato nell’entusiasmo per la vita ascetica, ed era disposto a credere che persino il diavolo sarebbe stato salvato.
Di particolare rilievo era il gruppo attivo nella Grecia Orientale nei secoli II e III dC. Era costituito da fieri intellettuali, impegnati a insegnare a intensi circoli di discepoli. Erano profondamente impegnati, e spesso correvano seri rischi. Giustino subì il martirio perché denunciato come cristiano da un insegnante di filosofia rivale. Origene era figlio di un martire. Da ragazzo desiderava seguire le orme del padre, e la madre dovette nascondergli i vestiti per impedirgli di correre fuori a sfidare le autorità pagane. Molti anni più tardi (nel 254) sarebbe morto come conseguenza diretta dei maltrattamenti subiti in carcere a causa delle sue idee.
Nella sua presentazione di queste persone, Fredriksen va al quadro generale. Per lei la colpa non è un insieme di azioni da essere castigate o escluse. La colpa è piuttosto una situazione evidenziata dall’emergere di fiere speranze di liberazione e redenzione. Il suo libro è intorno «a cosa la gente è redenta». E là dentro c’è tutto un mondo: qual è la natura della schiavitù da cui l’umanità anela a liberarsi? Con quale mezzo si ottiene tale libertà? Soprattutto, quanta nuova libertà si può ottenere? Quanta parte del vecchio mondo si ritiene rimanga ancorata all’essere umano in questa vita (e, chissà, persino nella prossima)? Ne segue che la discussione su quali atti malvagi ci si aspetta che vengano sanzionati dal clero la domenica si trasforma ben presto in un dibattito sulla speranza di cambiamento, sulla libertà, e sul misterioso gioco di continuità e discontinuità nella persona umana, e perfino nell’universo nel suo insieme.