LETTERATURA CONTEMPORANEA. Luca Alvino si misura stavolta con i romanzi più affascinanti di Philip Roth, i più intimi, collegati da un filo comune che li percorre, quello della morte e dell’infinito. Nemesi, Pastorale americana, Il teatro di Sabbath e altri suoi lavori, analizzati con uno stile elegante, ci accompagnano lungo un viaggio a ritroso nell’infanzia, dove tutto è una scoperta, ogni dettaglio più insignificante e dove non ci sono confini in un mondo tutto da esplorare.
«La Rivista dell’Etica Medica si propone di classificare la felicità tra i disordini mentali e di includerla nelle future edizioni dei principali manuali di diagnostica sotto questo nome: disordine affettivo primario, di tipo piacevole. Da un esame dei principali testi risulta che la felicità è statisticamente anormale, è associata a una vasta gamma di anormalità cognitive, e probabilmente riflette un anormale funzionamento del sistema nervoso centrale. Una delle principali obiezioni alla proposta è che della felicità non si dà una valutazione negativa. Comunque è un’obiezione trascurabile dal punto di vista scientifico.»1
Con questa irresistibile definizione, che costituisce una delle numerose perle del romanzo Il teatro di Sabbath, Philip Roth invita a considerare la totale soddisfazione dei propri desideri – normalmente denominata “felicità” – come un disordine mentale, alla stregua della schizofrenia o della depressione. Al di là dei palesi intenti satirici dello scrittore newarkese, con questa provocazione egli vuole invitare molto seriamente i suoi lettori a diffidare degli stati d’animo esaltanti che non siano saldamente ancorati a un riscontro effettivo nella realtà.