LETTERATURA. Cade quest’anno il 150° anniversario della nascita di Italo Svevo. Eppure, come spiega in questo saggio Franco Petroni, non fu facile per lui affermarsi in Italia, tanto che fu la critica straniera a notarlo per prima, proprio per il suo carattere completamente nuovo e diverso da ciò a cui la società era abituata. Dopo una prima parte legata alla fortuna critica, Petroni si concentra su La coscienza di Zeno, l’opera più rappresentativa di Svevo, per analizzarla alla luce delle teorie freudiane che allora si stavano diffondendo nella società borghese, e trarne la conclusione di una totale sfiducia dell’autore nella psicanalisi.
Nel 1861, il 19 dicembre, nasceva a Trieste, da famiglia ebraica, Ettore Schmitz, noto col nome d’arte Italo Svevo (cade, quest’anno, il 150° anniversario dalla sua nascita). Trieste era una città commerciale, principale sbocco al mare del potente impero asburgico, e per questo crogiuolo d’etnie e d’esperienze diverse.
La sua lingua materna era il dialetto triestino, la lingua in cui fece i suoi studi (nel collegio di Segnitz, presso Würzburg) fu il tedesco. L’italiano della tradizione letteraria Svevo lo conobbe attraverso la diretta lettura dei classici: l’italiano moderno fu per lui una lingua straniera. Questa circostanza, che lo costringeva a una continua attenzione alla scrittura, favorì sia il carattere sperimentale che il rigore formale della sua narrativa. Avevano dunque torto quei critici – e furono numerosi – che in Italia lo accusavano di «scrivere male».