Dall’Illuminismo in poi – cioè da quando l’umanità ha raggiunto la sua maggior età, per dirla con Kant – si usa dire che l’uomo moderno non insegue tanto la salvezza dell’anima quanto la felicità, cioè punta a soddisfare non solo i suoi bisogni materiali ma anche i suoi desideri e le sue speranze qui e ora, nel mondo della storia e non in un aldilà di qualunque genere. Ovviamente questo può essere considerato vero solo come tendenza prevalente, anche perché la prospettiva religiosa non ha mai cessato di avere peso e appare anzi in piena ripresa, soprattutto negli ultimi decenni. Ma se il discorso vale, almeno in linea generale, nel mondo occidentale, pur con le dovute eccezioni, ci si può chiedere se è legittimo dedurne come corollario che il compito del buon governo sia quello di perseguire la felicità dei cittadini. Lo afferma per esempio la Costituzione americana, e lo accenna quella francese, ma la nostra Costituzione se ne guarda bene: l’Italia è fondata sul lavoro, che è impegno e fatica.
Roberto Satolli
La politica della felicità
DEREK BOK, The politics of happiness: what Governement can learn from the new research on well-being, Princeton, Princeton University Press, 2010, pp. 272, $ 24,95