Manlio Cancogni, La cugina di Londra, Roma, Elliot, 2011
«Rori ricordatene, sulla tomba ci voglio scritto Manlio Cancogni milanais.»
Lo dice così, alla francese. Ridacchiando e proponendo alla moglie di lasciare solo le sue ossa, ma non l’anima, alla pur amatissima Versilia, che lo ospiterà in eterno.
«Arrivai a Milano la prima volta nell’agosto del ’45, mandato dal Partito d’Azione per affiancare Carlo Levi nella redazione dell’Italia libera, lasciando Firenze ma soprattutto Roma, sonnacchiosa, solenne, noiosa con le sue bellezze, con la sua arte che mio padre, nipote di Gioacchino Ferroni, grande antiquario, mi propinava sempre; con la sua stucchevole passeggiata del Pincio, con quella sfilata di teste orrende. E non cambiai mai più opinione sulla città più moderna, meno retorica e più europea che, malgrado lo sconquasso della guerra, avrebbe di più aiutato l’Italia a uscire dai suoi disastri.»