«Progettata per il settimo centenario della nascita» di Boccaccio (nato appunto nell’estate del 1313), l’edizione è arricchita da vari sussidi (introduzione, note, repertorio delle «Cose (e parole) del mondo», a cura di Quondam; schede di analisi alle novelle [...]
Giovanni Boccaccio, Decameron, a cura di Amedeo Quondam, Maurizio Fiorilla e Giancarlo Alfano, Milano, RCS Libri, 2013 («Bur Classici»), pp. 1852, € 18,00.
«Progettata per il settimo centenario della nascita» di Boccaccio (nato appunto nell’estate del 1313), l’edizione è arricchita da vari sussidi (introduzione, note, repertorio delle «Cose (e parole) del mondo», a cura di Quondam; schede di analisi alle novelle e nota biografica, a cura di Alfano; testo e nota al testo, a cura di Fiorilla): con la nobile intenzione di rendere il Decameron «disponibile al lettore del 2013, alle sue competenze linguistiche e culturali» (p. 64). Il repertorio curato da Quondam – una sorta di concordanza-indice concettuale del Decameron, costruita usando intensivamente il programma DBT 2000 di Eugenio Picchi – è ricco di osservazioni interessanti (per es., la prima parola piena in ordine di frequenza è donna con 1229 occorrenze, contro 821 soltanto di uomo). Importante (a qualche anno dalla scomparsa del principe dei boccaccisti, Vittore Branca) anche la revisione testuale di Fiorilla, che – in ossequio a istanze, oggi d’obbligo, della cosiddetta filologia materiale – introduce per la prima volta in un’edizione del Decameron un tratto importante della originaria segnaletica testuale, cioè il sistema delle iniziali maiuscole presenti nell’autografo, e si discosta in più di 100 luoghi (pp. 117-121) dal testo che per decenni ha fatto testo, fissato da Branca – anche suo malgrado paralizzante – e riprodotto meccanicamente per decenni dagli editori successivi.
Ivano Paccagnella, Vocabolario del pavano (XIV-XVII secolo), Padova, Esedra, 2012, pp. 998, € 95,00.
La distinzione, che, come tanto altro, dobbiamo a don Benedetto (Croce), tra l’uso spontaneo dei dialetti e la letteratura dialettale riflessa, che sola presuppone l’esistenza di una lingua letteraria e la volontà di discostarsene a fini artistici (si pensi al napoletano “trascendentale” di Giovan Battista Basile) serve anche per capire cos’è il pavano: ossia la precoce stilizzazione letteraria della parlata dei contadini del contado di Padova, portata al suo punto più alto nella produzione del padovano Ruzante (m. 1542). Nato da un antico progetto di Gianfranco Folena (1960), ripreso negli anni Novanta dalla sua allieva Marisa Milani, il Vocabolario del pavano − appena portato a termine dal pure “folenottero” Paccagnella con un gruppetto di valenti collaboratori, tra i quali andrà ricordata almeno la multitasking Chiara Schiavon − permette ai lettori di affrontare i testi più ardui del pavano, segnati quasi di continuo da deformazioni scherzose (come merdesina ‘medicina’, rason caluorica per ‘ragione ossia diritto canonico’, scriminale ‘criminale’) e da un impressionante polimorfismo (per cui, poniamo, l’onorifico Eccellenza, diventa volta a volta rebelienzia / rebelincia / revelintia / reverenzia / reverintia ecc.). Il vocabolario è insomma la chiave che permette di misurarsi senza timore con il maggiore dei nostri scrittori teatrali prima di Goldoni.
“Amico del Boiardo”, Canzoniere Costabili, edizione critica a cura di Gabriele Baldassarri, Novara, Interlinea, 2012, pp. 900, € 48.
Connesso sia stilisticamente sia contenutisticamente con la produzione latina e volgare dei maggiori letterati estensi del tempo (da Tito Vespasiano Strozzi al Boiardo) il manoscritto già Costabili, attualmente Add. 10319 della British Library, ha suscitato la curiosità dei maggiori specialisti di quella stagione, da Mengaldo alla Tissoni Benvenuti a Dilemmi a Zanato. In un’Introduzione che è di fatto una monografia (più di 350 pp.), Baldassarri cerca di spremere dalle carte del ms. tutto quel che è ragionevole dedurre sull’anonimo autore, sul suo ambiente culturale, sulla cronologia del canzoniere, sulle mani che hanno copiato e corretto le rime nell’unico testimone superstite. Dobbiamo essere grati al bravo editore per la cura con cui ha riesumato, pubblicandolo, questo importante documento di un’epoca nella quale l’Italia e Ferrara erano, non solo culturalmente, all’avanguardia. Gli unici dubbi di chi scrive riguardano l’ipotesi di Baldassarri che le correzioni che costellano il ms., di gusto già cinquecentesco, anzi classicistico (crudiel > crudel, oldire > udire, sciò > so e simili), siano imputabili all’autore, anziché a un possessore di generazioni più recenti. (A sorprendere non sarebbe infatti la longevità di un nato attorno al 1435/1440, che dovrebbe conservarsi sano e attivo ancora verso il 1525-1530, ma la sua capacità di sintonizzarsi subito e pacificamente su scelte di cultura e di lingua che suscitarono per decenni resistenze feroci).
Giuliano Bellorini, Il magnifico Signor Cavallier Luigi Cassola Piacentino. Edizione critica dei madrigali. Censimento e indice dei capoversi di tutte le rime, Firenze, Olschki, 2012, pp. XVI, 220, € 26,00.
«Donna, quando il desire / in me si cresce, e lo sperar vien meno / io mi sento morire. / Ma se poi penso al bel viso sereno, / così cresce l’ardire / ch’anchor di viver più prendo baldanza, / e vivo del desir fuor di speranza». Il tenue madrigale (costruito a ritroso sull’ultimo verso, che si deve a Petrarca, RVF LXXIII 78) è un buon esempio del saldo controllo linguistico e della esile, ma innegabile, vena poetica del piacentino Luigi Cassola (1473 o ’74-1553). Oggi noto solo agli specialisti, ma amico dell’Aretino, del Domenichi, del Betussi, il Cassola ha conosciuto nel pieno ‘500 una certa fortuna, con due edizioni dei Madrigali, pubblicate nel 1544 e nel 1545 dal Giolito (l’Einaudi del tempo), e la pubblicazione di varie liriche inedite nel Libro quarto (Bologna, Giaccarello, 1551) e nel Libro nono (Cremona, Conti, 1560) delle Rime di diversi eccellentissimi autori, antologie che sancivano la consacrazione “nazionale” di un petrarchista. La buona edizione di Bellorini ci permette di verificare, anche per Piacenza, la validità del teorema per cui in Italia (a differenza che in paesi più “concreti”, dove la lingua era funzione del potere politico) l’unificazione linguistica nazionale è avvenuta – non prima del quarto decennio del ‘500 – per motivi letterari, vale a dire per l’applicazione al volgare della soluzione di imitare in modo rigoroso gli scrittori-modello: già adottata nel ’400 dagli umanisti imitatori di Virgilio e di Cicerone.
PAOLO TROVATO insegna Storia della lingua italiana e Critica testuale all’Università di Ferrara e condirige la rivista «Filologia italiana». Tra i suoi lavori principali: l’edizione critica della prima Cortigiana (1525) di Pietro Aretino, Salerno ed. 2009; Storia della lingua italiana. Il primo Cinquecento, 1994 (rist. Libreriauniversitaria.it, 2011); e, con Elisabetta Tonello, Nuove prospettive sulla tradizione della Commedia. Seconda serie (2008-2013), Libreriauniversitaria.it, 2013.