Per bloccare la diffusione di informazioni nel loro paese sulle rivolte popolari in Tunisia ed Egitto le autorità cinesi hanno fatto il possibile: avrebbero potuto influenzare i cittadini. Si sono soprattutto preoccupate di come social network quali Twitter e Facebook nell’era di internet avrebbero potuto influire sul potere politico. La mattina del 19 febbraio, di fronte a una platea di governatori provinciali e ministri del Governo Centrale, il presidente della Repubblica Hu Jintao ha pronunciato un esteso discorso sul mantenimento della stabilità sociale. Dopo una rassegna delle gloriose conquiste del Partito Comunista Cinese e un monito sull’immutabile giustezza dell’ideologia su cui si fonda, Hu è passato a enunciare i tre punti principali della sua esposizione. Senza mai menzionare direttamente il Medio Oriente né tantomeno l’eco delle proteste, che nel frattempo era arrivata fino in Cina, quel che ha detto è stato: uno, dobbiamo aumentare in maniera considerevole il controllo dell’informazione su internet; due, dobbiamo in qualche modo regolamentare la “società virtuale” a cui la rete ha dato luogo; tre, dobbiamo guidare verso “direzioni sane” l’opinione pubblica formatasi in questa nuova società virtuale.
Perry Link
Perché la Cina teme le rivoluzioni in Medio Oriente
da ''The New York Review of Books''ATTUALITA’. Come ha reagito la Cina di fronte al succedersi di notizie sulle rivolte in Nord Africa? Uno dei primi provvedimenti che sono stati presi è stato quello di chiudere o limitare l’accesso a siti internet e social network, lo strumento di propaganda più efficiente e quindi temuto dai regimi. Perry Link ci spiega anche i motivi di questo comportamento, legati alla paura che gli ultimi avvenimenti in Medio Oriente possano minare la struttura del suo regime autoritario.