Wikiradio costruisce giorno per giorno una sorta di almanacco di cose notevoli ed utili da sapere per orientarsi nella nostra modernità. Ogni puntata racconta un evento accaduto proprio nel giorno in cui va in onda, intrecciando il passato con il presente, la memoria storica con ciò che oggi essa significa per noi. Dalla storia all’economia, dal cinema alla scienza, la letteratura, il teatro, le arti visive, la musica, i grandi momenti che hanno segnato un punto di svolta raccontati da esperti, studiosi, critici, con spezzoni di repertorio, sequenze cinematografiche, brani musicali, in un articolato mosaico che vuole restituire agli ascoltatori tutti i significati possibili di un avvenimento.
A cura di Loredana Rotundo con Antonella Borghi, Attilio Fortunato e Roberta Vespa
John Lennon e Yoko Ono raccontati da John Vignola
«Speriamo che per ogni John Lennon, non ci sia una Yoko Ono». È uno dei commenti più caustici che Sir Paul McCartney dedica al suo amico che ha passato con lui molti anni in una delle band che ha cambiato la faccia alla musica. Non solo alla musica pop, ma a tutta la musica del ’900: i Beatles. John Lennon e Paul McCartney speculari l’uno all’altro: uno era mancino, l’altro destro, suonavano e componevano le canzoni uno di fronte all’altro, incrinano la loro amicizia, e sicuramente anche la loro storia artistica per colpa, almeno all’apparenza, di una donna. Questa donna si chiama Yoko Ono (è la traslitterazione del nome in giapponese), un’artista importante, nata con la sperimentazione del gruppo Fluxus e soprattutto, quando John Lennon la conosce a una mostra che la riguarda, di qualche metro più avanti di lui in quanto a creatività. È quello che sostengono gli appassionati di arte, ma gli appassionati di musica rock, trovano che sia John Lennon uno dei più grandi songwriter, non solo della sua generazione ma di tutto l’universo del rock. Chi ha ragione? Probabilmente entrambi.
Quello che oggi vogliamo cercare di ricordare e raccontare è un momento particolare nella vita di coppia dei due: nel 1972, esattamente il 30 agosto, al Madison Square Garden di New York City, che è la nuova patria, forse l’unica che avrebbero mai desiderato, della coppia John Lennon-Yoko Ono, si tiene un concerto. Anzi, se ne tengono due, in cui si esibisce Lennon con una motivazione benefica: si trattava di raccogliere fondi a favore delle associazioni che si occupavano di bambini mentalmente disabili. Sono concerti che John e Yoko organizzano su richiesta di un loro amico, Geraldo Rivera. Rivera nell’occasione dirà che John e Yoko sono le persone migliori che abbia mai conosciuto. Al di là di questo, in questa esibizione che verrà pubblicata in un album intitolato “Live in New York City” esattamente il 10 febbraio del 1988, viene fuori ancora una volta la potente idiosincrasia di Lennon nei confronti della musica dal vivo. Di lì a poco si sarebbe ritirato in un esilio tutt’altro che dorato, dove avrebbe finito per abbandonare quella che confidenzialmente chiamava “Mother”, ovvero proprio Yoko Ono. Ma in quel momento il Madison Square Garden è tutto per lui.
La voce di Yoko Ono è sempre stata il grande segno di rottura fra le belle melodie dei Beatles, e quella che invece era l’idea di avanguardia che stava dietro non solo all’artista giapponese, ma a un modo diverso, che sarebbe stato riscoperto molti anni più tardi, di intendere la musica, di renderla sperimentale. C’è un memorabile momento nel “White Album” dei Beatles, che è documentato dai bootleg e dalle registrazioni ufficiali carpite negli studi di registrazione di Abbey Road, in cui Yoko Ono, invitata per ascoltare, comincia a cantare. In pochi minuti tutti disertano lo studio, George Harrison addirittura con parole non carine nei confronti della fidanzata di Lennon. Rimasti da soli, John dice a Yoko: «Beh, adesso puoi anche piantarla». È un sodalizio, quello fra John Lennon e Yoko Ono con alti e bassi che cominciano quasi subito, già all’inizio della loro storia d’amore.
Il rapporto tra John Lennon e la Big Apple, New York City, è anche al centro del rapporto tra John e Yoko. È l’ultima città dove John Lennon ha deciso di suonare dal vivo. Suonare dal vivo per lui è sempre stato un problema, anche dai tempi dei Beatles, alcune delle malelingue sostengono che sia stato il suo parere a influire sulla scelta di smettere di suonare on stage e di concentrasi, da parte dei quattro di Liverpool, essenzialmente sulla loro carriera in studio. In effetti le testimonianze dei concerti, c’è n’è una memorabile che è stata riesumata qualche tempo fa, in cui Lennon e Yoko Ono suonano insieme a Frank Zappa, sono alle volte minati proprio dalla paura di Lennon di apparire sul palco. Se andiamo a guardare con una macchina del tempo che ci permetta di raccogliere i fotogrammi della storia dei quattro, vedremmo sempre un Lennon impacciato ogni volta che si tratta di apparire in televisione e suonare, oppure di esibirsi addirittura davanti ai reali d’Inghilterra. È lì che tirò fuori la celebre frase: «Ora tutti possono battere le mani, i reali possono far semplicemente tintinnare i loro gioielli». Oltre a queste facezie, Lennon, come dichiarò nelle ultime interviste prima di venire ucciso nel 1980, aveva paura che dal vivo qualcosa non funzionasse, e che la sua insicurezza, sempre nascosta dalla sua spavalderia, fosse visibile a tutti. In questo, il rapporto con Yoko è sempre stato un rapporto confidenziale e di sostegno. Da una donna come Cynthia Lennon, che il primo manager dei Beatles vietò di rendere pubblica, la moglie da cui aveva avuto un figlio, Julian, e che non arrivò mai alla ribalta delle cronache non solo per sua scelta, a una Yoko Ono già famosa nell’ambiente. Da una donna che tendeva a scomparire (e alla fine scomparve davvero), a una donna che in qualche modo coinvolse Lennon e lo rese un cosciente pacifista dallo «scapestrato ma meraviglioso essere umano che era», come disse una volta Yoko Ono in un’intervista. È un rapporto di simbiosi che si svolge in buona parte non a Londra, che viene abbandonata, ma a New York City.
C’è un bel documentario uscito da poco, si chiama Lennon New York City, pieno di immagini rare o addirittura inedite, che il regista Michael Epstein (nessuna parentela con Brian Epstein, il manager di cui abbiamo parlato poco fa), dedica non solo alla coppia, ma anche alla città, una città accogliente che avrebbe dato la morte a John Lennon l’8 dicembre del 1980. Questo film racconta gli anni ’70 di John, dalla fine dei fab four fìno alla fine della sua stessa vita. In mezzo troviamo il Greewinch Village newyorchese, gli anni del buio assoluto, tra alcolismo e quello che lo stesso Lennon chiamava l’interminabile “lost weekend”, insieme a Harry Nilsson, a insultare cameriere nei bar di quart’ordine e ad azzuffarsi per poco più di un litro di birra. Il weekend appunto lontano da Yoko, la rinascita, un figlio, dopo i tanti tentativi che la coppia aveva avuto di averne uno, prima che il loro rapporto si interrompesse per qualche tempo; i rapporti dell’FBI per espellerlo dagli Stati Uniti durante l’amministrazione Nixon, e poi il progetto di un album, “Double Fantasy”, dove Ono e Lennon si dividono, non solo da bravi amanti, ma anche da bravi fratelli, metà delle canzoni. L’utopia di John Lennon è qualcosa legato al rapporto d’amore con Yoko. Yoko che è la “Mother”, Yoko che era la protagonista di una canzone dei Beatles “The Ballad of John and Yoko”, Yoko che è stata per anni imputata di aver portato all’esaurimento il rapporto artistico tra John, Paul, George e Ringo, che forse ristagnava dopo un avvenimento terribile del 1967: il suicidio di Brian Epstein, quel manager che aveva tenuto insieme quattro ragazzi molto legati fra loro ma allo stesso tempo dai caratteri molto forti, John e Paul in modo particolare. Potremmo aggiungere che in quel periodo Paul lascia la fidanzata storica per quella che sarà la donna della sua vita, la forse più conciliante Linda Eastman. Sta di fatto che mai come in questo caso, dietro due donne diverse si celano anche le magagne personali di due grandi amici che sono appena stati risucchiati dal vortice delle popolarità, del successo e del declino dei rapporti personali.
Prima di conoscere John Lennon, Yoko Ono era una sconosciuta per gli appassionati di musica pop, eppure aveva alle spalle una carriera d’artista davvero invidiabile. Appartenente all’alta borghesia di Tokyo, dov’è nata il 18 febbraio 1933, quindi più vecchia di John di quasi sette anni, si impegnò a lungo nel gruppo Fluxus, un gruppo d’avanguardia artistica che faceva della performance dal vivo uno dei suoi punti di forza. Sposata una prima volta con una figlia, incontra John Lennon durante una sua esibizione. Non c’è una storia unica rispetto a questo incontro, quello che sappiamo è avvenne all’Indica Gallery di Londra il 9 novembre 1966, uno degli anni più importanti per i Beatles, che stavano passando dal beat che ha rifondato la musica britannica e non solo, alla psichedelia che stava caratterizzando dischi come “Rubber Soul” e “Revolver”, e che di lì a un anno avrebbero siglato quello che per alcuni è un capolavoro, per altri è un disco ormai passato di moda come “Sgt. Pepper & Lonely Heart Club Band”. E in questo momento, alla fine di un anno ricco come il 1966, un anno anche in cui i Beatles smettono di suonare dal vivo, Lennon incontra Yoko Ono. Vede questa performance e, come dirà in un’intervista molto tempo dopo, rimane stupito dall’“infantilaggine” e nello stesso tempo dalla grazia con cui Yoko Ono la porta a compimento. Succede poi che si faccia un giro in quelle che sono le installazioni di questa mostra, ce n’è una in particolare, che in cima a una scala raffigura una mela, mela che sarà poi il simbolo dell’unica e fallimentare impresa industriale dei Beatles, appunto la Apple. John Lennon si inerpica verso questa mela in cima a questa scala e cerca di dare il suo contributo a quest’opera d’arte infilando un chiodo che rimaneva sospeso in un buco. Il curatore della mostra fa di tutto per impedire che l’installazione della mostra venga rovinata da questo inconsapevole personaggio. Nasce un litigio fra John e Yoko, anche se qualcuno dice che i due non si parlarono direttamente ma che a parlare furono John e il curatore dell’esposizione. Sta di fatto che alla fine di questo litigio, John infila il chiodo nel buco e Yoko dice: «Ti do cinque scellini immaginari per mettere in un buco un chiodo immaginario». Al di là delle facili metafore che possono venir fuori da questa storia, metafore nemmeno di ottimo gusto, quello che succede è che i due si frequenteranno abbastanza sporadicamente, fino a scoprire di essere innamorati un paio di anni dopo.
Nel frattempo è arrivata la dissoluzione, se non del rapporto di amicizia, del legame stretto tra John e gli altri tre Beatles, soprattutto fra John e Paul McCartney. È arrivato un album complesso, dove ognuno dei quattro viaggia da solo, “L’album bianco”. E in questo momento, John e Yoko cominciano a pensare di avere un primo figlio, un figlio che purtroppo non nasce a causa di un aborto spontaneo e che avrebbe dovuto chiamarsi John Ono Lennon. Ci vuole tempo perché si arrivi alla nascita di Sean, e nel frattempo succederanno moltissime cose, per esempio il 20 marzo del 1969, sulla Rocca di Gibilterra, i due si giurano amore eterno e da lì in poi la vita dei coniugi Lennon avrà il sopravvento sulla vita dei quattro di Liverpool.
Abbiamo parlato brevemente di Yoko Ono, ma che dire di John Winston Lennon, nato a Liverpool il 9 ottobre del 1940 e scomparso a New York l’8 dicembre del 1980? Si può solo dire che era un genio, un genio molto complicato, un rapporto strettissimo con la madre, che era quasi una groupie, se non dei Beatles, gruppo che non conobbe perché morì precocemente investita da un’auto, una groupie nei confronti della musica in generale. Affidato alla sorella della madre, John vive una vita con una carenza d’affetto costante, e per questo John e Paul si riconoscono e si apprezzano. Anche Paul è orfano di madre, e i due si rispecchiano anche nel modo di suonare, Paul è quasi un professionista, o comunque è molto bravo con gli strumenti musicali, John è un personaggio che prende tutto di petto: i rapporti personali, il rapporto con la musica, il rapporto con le istituzioni, di solito prende in giro quello che non capisce. Ha un grande amico, un’artista, un pittore, si chiama Stuart Sutcliffe, e pur di infilarlo nel suo gruppo e di farlo stare insieme a lui, lo costringerà a seguire i pre-Beatles ad Amburgo, a suonare il basso, di cui Stuart ignorava praticamente l’esistenza. John e Paul sono molto amici e allo stesso tempo sono anche antagonisti, una delle grosse questioni dei primi Beatles è chi dei due fosse il leader. John ha sicuramente un carattere più spavaldo, Paul è quello più accomodante, pare che all’inizio chi cantava le canzoni più complicate fosse proprio John anche se aveva paura della propria voce. La paura è una costante del suo rapporto con i Beatles, e farà si che John filtri la voce in ogni modo possibile: per esempio canta in un bicchiere di vetro in “Lucy in the Sky with Diamonds”, oppure si allontana dal microfono e nei concerti dal vivo resta sempre più arretrato rispetto a Paul. La paure finisce col prendere il sopravvento, man mano che gli album vanno avanti. L’amante del rock and roll, John, deve confrontarsi con McCartney, che ha una preparazione musicale più accurata, e che, al grande bassista che è, aggiunge anche l’armonia, che aiuta John a scrivere canzoni migliori. Quest’equilibrio fragilissimo si rompe proprio quando arriva Yoko Ono a ricordare a Lennon che tutte le sue insicurezze, tutta la rabbia e anche le battute infelici che faceva ogni volta che doveva essere intervistato sui Beatles (la più memorabile fu: « I Beatles ormai sono più famosi di Gesù Cristo»), erano figlie di un’insoddisfazione che aveva preso il sopravvento nei Beatles rispetto al piacere di fare musica e di inventare cose nuove. Quello che capita a partire da “Sgt. Pepper”, che è fondamentalmente una “suggestione” di Paul, fino agli ultimi dischi, il”White Album”, “Abbey Road” e “Let it Be”, è che Lennon si disaffeziona sempre di più ad un progetto che Paul cerca di tenere insieme. Quello che succederà poi grazie a Yoko è che conosceremo un Lennon sconosciuto negli anni ’60, che non è più un Lennon che prende in giro i portatori di handicap facendogli il verso, ma che organizza un memorabile “bed-in” proprio insieme a Yoko Ono, e che scrive una canzone incredibile come “Working Class Hero”. In tutto questo Yoko Ono ha una piccola parte di merito.
Il sodalizio fra John Lennon e Yoko Ono non è solo sentimentale, è anche artistico. Collaborano in molti album dal 1968, ancora prima che i Beatles si sciolgano. Nell’album “Unfinished Music No.1 – Two Virgins” sulla cui copertina appaiono completamente nudi, ci sono i bed-in di cui abbiamo parlato, c’è un singolo importantissimo, controculturale, che ancora si sente ogni Natale, “Happy Christimas War is Over”, in tutti i successivi dischi di Lennon in qualche modo appare Yoko Ono.
Altri amici forse hanno partecipato e accelerato lo scioglimento dei Beatles. Uno è il temibile manager Allen Klein che Paul McCartney odiava e che John Lennon volle tenere affinché riuscisse a gestire le ultime mosse dei Beatles. L’altro è il produttore geniale ma quasi folle Phil Spector, che è uno dei responsabili di uno dei single più belli del Lennon Liberato e accasato con Yoko Ono: “Instant Karma”. Ci sono molti album dopo, come “Imagine”, ma c’è anche, come abbiamo raccontato, il “lost weekend”: John Lennon che non solo perde il contatto con sé stesso, ma che arriva anche a tradire Yoko Ono con la sua segretaria, May Pang. Tutto questo nel corso degli anni ’70, un periodo magmatico e in cui c’è un buco, un buco grande, quello in cui John non solo si allontana da Yoko ma anche dalla musica suonata e pensata e rischia, lo dice in un’intervista del 1980, di perdere completamente la bussola.
“Double Fantasy” è l’album che raccoglie le testimonianze migliori del rapporto tra John e Yoko e lo rende un disco sottovalutato dalla critica oppure esaltatissimo nel momento in cui John non c’è più, ucciso da Mark Chapman al Dakota Suite. L’8 dicembre del 1980, Lennon sparisce nel momento in cui pare abbia molte cose da dire, e nel momento in cui sta rilanciando la sua storia privata e la sua storia musicale.
Yoko Ono. John ha cambiato la mia vita in modo netto. Ovviamente quando l’hanno ucciso lo shock è stato fortissimo, lancinante. Uno non sa che cose del genere possono capitare nella propria vita, magari ne senti parlare, ma non pensi che possa accadere a te. E invece succede, allora è tremendo. John e io pensavamo di fare le cose insieme nel modo giusto. La mia prima responsabilità e il mio amore ora sono per Sean. Nostro figlio mi dà molta energia per continuare senza John, se no vivrei sempre nel passato. Con Sean devo sempre andare avanti, costantemente. A un certo punto mi sono sentita molto in colpa per aver avuto Sean, perché la morte di John è stata un colpo durissimo per lui, pensavo: “Che cosa gli abbiamo fatto?” Continuavo a ripetergli: «Mi dispiace, non potevo sapere che sarebbe finita così. Spero che tu stia bene, perché qualche volta mi sento in colpa per averti fatto nascere». E lui mi rispose: «Che stai dicendo mamma? Sono contento di essere nato, ne sono felice.»
Il rimpianto da parte dei fan è assoluto. Quello che ancora non si è riusciti a fare non è tanto una rivalutazione della coppia John e Yoko, che molti critici nei trent’anni successivi cercheranno di descrivere in maniera più luminosa, ma soprattutto dei rapporti di forza che si erano creati all’interno degli ultimi Beatles. Pare che John e Paul si fossero visti un’unica volta dalla grande separazione degli anni ’70, fino alla fine degli anni ’70. E pare anche, anzi questo è sicuro, che Paul McCartney dopo l’omicidio di Lennon si sia rifiutato di esibirsi dal vivo proprio per paura di essere a sua volta assassinato.
Rimangono molti rimpianti, ma questa è un’altra storia. Quello che oggi abbiamo cercato di descrivere è, più che una storia d’amore, l’incontro sempre creativo fra due artisti. Inevitabilmente non può che suscitare tensioni, ma gli esiti sono sempre felicemente creativi.
JOHN VIGNOLA si occupa professionalmente di musica e letteratura da più di vent’anni. Ha curato una piccola etichetta discografica, ha pubblicato libri sulla storia del rock e ha partecipato alle immancabili enciclopedie sul genere. Il suo ultimo lavoro è una monografia critica su Lucio Dalla. Negli ultimi anni ha condotto alcuni programmi radiofonici per ‘RadioRai’, scrive settimanalmente su ‘Vanity Fair’, recensisce dischi su ‘Audioreview’ e cura la rubrica dei libri de ‘Il Mucchio Selvaggio’.