Antonella Bolelli Ferrera

Radio3suCarta. John Steinbeck. C’era una volta una guerra

Cuore di Tenebra ricostruisce in forma sceneggiata situazioni e dialoghi che vedono protagonista di volta in volta, un personaggio importante (della storia, dell’arte, della politica ecc.) che si confronta con un interlocutore immaginario. I dialoghi, intervallati da momenti di narrazione e da stralci di interviste mirate, sono di pura fantasia, ma basati su fonti storiche e letterarie, pertanto veritieri nella sostanza e spesso anche nella forma.

Un programma di Antonella Ferrera

A cura di Diana Vinci

Collaborazione di Federico Zamboni

Musiche originali di Alessandro Molinari

Regia di Manuel de Lucia

 

John Steinbeck. Sono nato nel febbraio del 1902, quindi non ho combattuto nella Prima guerra mondiale, ero troppo giovane per partire. E poi dovevo ancora compiere 17 anni, quando è finita. Ma non ho combattuto neanche nella Seconda: ero a un passo dai quaranta, quando il 7 dicembre del ‘41 c’è stato l’attacco giapponese a Pearl Harbor e gli Stati Uniti sono entrati in azione. Eppure, benché senza sparare un colpo, sono stato accanto ai nostri soldati per alcuni mesi, dal giugno 1943 in avanti, e insieme a loro, come corrispondente di guerra, ho condiviso tante cose, il bene e il male, la miseria e la grandezza, l’ebbrezza entusiasmante delle vittorie e l’angoscia disperante dei lutti, il meglio e il peggio di questa follia collettiva alla quale noi esseri umani non sappiamo rinunciare.

 

Antonella Ferrera. Nel 1943 John Steinbeck è già uno scrittore famoso. Ha pubblicato Pian della Tortilla, Uomini e topi, e nel 1938, Furore, il suo libro più importante, il romanzo-simbolo della Grande Depressione.

 

Jimmy (un giovane inviato irlandese). Steinbeck l’ho conosciuto in Inghilterra, era appena arrivato, mentre io mi ci trovavo già da un po’ di tempo. In teoria facevamo lo stesso mestiere, perché anch’io sono corrispondente di guerra, ma di fatto non era così.

Steinbeck era un autore affermato, io un cronista qualsiasi, lui un uomo maturo, io un giovanotto. Fossi stato americano, o inglese, o canadese, sarei stato sotto le armi, sono Irlandese, e l’Irlanda – per mia fortuna – è rimasta neutrale.

 

Antonella Ferrera. I reportage cominciano spesso in modo generico, che per qualcuno può essere odioso e per altri intrigante, quasi romanzesco: “Da qualche parte in Inghilterra”, “Una base in Nord Africa”, “Da qualche parte nel teatro di guerra mediterraneo”. Solo quando si parla della vita dei civili, si può indulgere a svelare il nome delle località, e solo se, nel farlo, non si corre il rischio di fornire al nemico informazioni utili. 

 

John Steinbeck. Credo che mi farà piacere poter tornare a scrivere prima della data “Londra”. O “Dover”. O quello che sarà.

 

Jimmy. Credo che dovrai aspettare un bel pezzo! Per ora siamo qui sul molo di “chissà dove”, a guardare le truppe che s’imbarcano sulla nave “chissà cosa”.

 

John Steinbeck. Da qualche parte in Inghilterra, 20 giugno 1943, sul molo i soldati, a migliaia, siedono sui fagotti dell’equipaggiamento. È sera, si accendono le prime luci fioche dell’oscuramento, gli uomini hanno in testa l’elmetto, che li rende tutti simili, come lunghe file di funghi. Hanno il fucile poggiato sulle ginocchia, sono senza identità, senza personalità. Sono unità di un esercito. I numeri segnati a gesso sull’elmetto, sembrano numeri di matricola di un robot.

 

Antonella Ferrera. Forse è solo una coincidenza e forse no, ma il filo conduttore degli articoli che verranno, emerge subito, senza che Steinbeck lo debba esprimere concettualmente, con un’affermazione di principio. Il trait d’union è già fissato: è il rapporto travagliato fra l’individuo che vuole restare tale, con i suoi valori e le sue preferenze, e le necessità della guerra che risucchia tutti in una dedizione obbligatoria e spietata. La volontà del singolo è del tutto secondaria, rispetto alle esigenze del conflitto.

 

John Steinbeck. La campagna è bellissima, molto ordinata, coi campi di grano recintati dalle siepi e gli orti di guerra, dove ogni famiglia ha il suo piccolo appezzamento che si coltiva da sé e da cui trae quel che le serve. E anche la base è ben tenuta, uno di quei posti che danno un’idea di solidità, un’impressione che diventa preziosa, nell’atmosfera generale d’insicurezza e di pericolo.

 

Jimmy. Ho dato un’occhiata ai dormitori, tutto in perfetto stile militare, coi letti rifatti accuratamente, l’elmetto e la maschera antigas ai piedi delle brande, e le armi individuali sulla rastrelliera. C’è una sola stranezza rispetto a un clima così marziale.

 

John Steinbeck. Devo indovinare?

 

Jimmy. Scommetto che lo sai già. Pin-Up a volontà, appiccicate alle pareti.

 

John Steinbeck. Le ho viste anche sulle carlinghe degli aerei. Dei B-17, per esempio.

 

Jimmy. Quelli che chiamano le Fortezze Volanti?!

 

John Steinbeck. Ce ne sono un bel po’, disseminati qui intorno e se non li hai mai visti da vicino, è la volta buona per farlo.

 

Antonella Ferrera. Dieci uomini di equipaggio, quattro motori a elica e 13 mitragliatrici. Una lunghezza di quasi23 metri e un’apertura alare di quasi 32. Bombardieri giganteschi che sono in grado di portare 2 tonnellate di bombe nelle missioni a lungo raggio, fino a800 miglia. Un carico che sale a 3 tonnellate e mezzo per i tragitti inferiori alle400 miglia e che arriva addirittura a sfiorare le 8 tonnellate in caso di azioni in sovraccarico.

 

John Steinbeck. C’è un’altra cosa che forse non sai. Una cosa che secondo me è molto bella. Ogni apparecchio ha un suo nome specifico, che si porta dietro anche quando passa da una squadra all’altra.

Jimmy. E chi lo sceglie?

 

John Steinbeck. I primi che lo utilizzano, credo. Qui ne ho già adocchiato qualcuno.

C’è un “Mary Ruth”, con tanto di scritta sottostante che recita “Ricordi di Mobile?” e ce n’è un altro spassoso: “Bomb Boogie”.Il problema invece, è che a quanto si dice è spuntata l’immancabile associazione di benpensanti che è contraria e il guaio è che sarebbe anche una di quelle potenti, ben ammanicate coi politici che devono decidere. A loro non gli garba che un aeroplano di proprietà del governo sia battezzato a piacere dai soldati che lo usano, non gli sembra abbastanza “serio”.

 

Jimmy. E cosa accidenti vorrebbero, in alternativa?

 

John Steinbeck. Nomi di città. Nomi di fiumi. Roba così. Bah.

Non lo capiscono proprio che per l’equipaggio, l’aereo è come uno di loro e che hanno bisogno di volergli bene come a una persona, o come al loro cane. È una cosa delicata, un nome e quando se n’è scelto uno, non lo si deve cambiare per nessun motivo. “Mary Ruth” è Mary Ruth. “Bomb Boogie” è Bomb Boogie. Non è che da un giorno all’altro possono diventare “Wichita” o “St. Louis”, solo per tranquillizzare i coscienziosi cittadini che se ne stanno a casa a seguire la guerra dai giornali!

 

Antonella Ferrera. Le missioni si susseguono a ciclo continuo, o quasi, giorno dopo giorno, notte dopo notte, le squadriglie si alzano in volo. Gli obiettivi vengono indicati nelle riunioni operative che si svolgono poco prima del decollo, e bisogna tenersi sempre pronti.La messa a punto degli apparecchi è compito dei meccanici, ma la manutenzione delle armi è un’incombenza dei membri dell’equipaggio.

Sanno che le loro vite dipendono anche dal fatto che i cannoncini e le mitragliatrici funzionino come si deve, quando verrà il momento di usarli, e quindi ci mettono il massimo scrupolo, non stanno solo eseguendo degli ordini, stanno facendo il possibile per tornare sani e salvi.

John Steinbeck. Molti rimangono con gli occhi levati al cielo, mentre gli aerei si allontanano e anche dopo, quando ormai i velivoli sono scomparsi, parecchi di loro non se ne vanno a riposare ma continuano a restare svegli e ad aggirarsi di qua e di là, come se non volessero interrompere il filo di solidarietà e di cameratismo che li lega ai compagni in missione.

Antonella Ferrera. L’Inghilterra è solo la prima tappa, per Steinbeck. Al periodo trascorso nella base dei bombardieri, ne sono seguiti altri a Dover e a Londra, dove ha vissuto i grandi festeggiamenti del 4 luglio in occasione dell’Independence Day. Dal governo di Sua Maestà ai cittadini di qualsiasi rango, i britannici sono stati lieti di rendere omaggio ai militari americani. In agosto, però, è arrivata la proposta di trasferirsi in Nord Africa. Il 25 luglio, il Gran Consiglio del Fascismo ha votato a maggioranza l’Ordine del giorno di Dino Grandi. Mussolini è stato privato dei suoi poteri e arrestato. Gli Alleati stanno mettendo a punto i preparativi per gli sbarchi sul territorio italiano.

 

John Steinbeck. Uno strano viaggio, all’insegna della massima segretezza. Ci hanno avvertiti con pochissimo preavviso, roba di ore. Alle9 mi hanno chiesto se ero interessato a partire – per Algeri! – e hanno snocciolato le istruzioni: consegna del bagaglio alle 15 e appuntamento alle19.30 a un certo indirizzo. Si sono raccomandati: «Sia puntuale». Ho preso solo l’essenziale, come bagaglio, il resto l’ho chiuso in un baule e l’ho lasciato in deposito. L’idea è di recuperarlo in seguito, ma chissà quando. Non che me l’abbiano chiesto, comunque: sono abituati a gente che se ne va lontano e che non è in condizione di dire per quanto tempo resterà assente.

 

Jimmy. Un modo garbato per dire che non si sa nemmeno se ritornerà…

 

John Steinbeck. Un’altra di quelle cose assurde che in tempo di guerra diventano la norma.

 

Jimmy. Come il treno dell’esercito su cui ci hanno fatti salire. Vetri oscurati, destinazione ignota e infatti, in gergo, lo chiamano “treno fantasma”. Una fila di carrozze letto e nient’altro, nessuno spazio per scambiare due chiacchiere, a parte i corridoi.

Si direbbe che sperino che tutti quanti si addormentino alla partenza e rimangano nel mondo dei sogni fino all’arrivo.

 

John Steinbeck. E poi la sveglia alle quattro e mezza di notte. Mezz’ora per prepararsi a scendere. La stazione è piccola. Piove, fa freddo, sei in una località sconosciuta. E dopo ancora il breve trasferimento in camion, verso una grande base dell’Air Transport Command.

 

Jimmy. Quella era comoda, se non altro.

 

John Steinbeck. Ma sembrava sospesa in uno spazio-tempo diverso. Dopo il “treno fantasma”, la “base irreale”. Quei caminetti accesi in cui brucia il carbone, quelle riviste vecchie di alcuni mesi. ‘Esquire’, ‘New Yorker’, ‘Life’, come se fosse l’ultima occasione per dare un’occhiata al passato.Forse è fatto così, il limbo. O il luogo di transito fra la vita e la morte.

 

Antonella Ferrera. L’aeroplano per l’Africa è un C-54-A. Un apparecchio nato per il trasporto commerciale, ma adattato alle esigenze delle Forze Armate. Sono stati aggiunti dei sedili di metallo. Militari o no, i passeggeri devono accontentarsi.

 

John Steinbeck. Che spettacolo, Algeri! Già in condizioni normali è un punto d’incontro della gente più disparata: ma adesso, con l’arrivo massiccio delle truppe americane e di quelle inglesi, in aggiunta a quelle che c’erano prima, è un’autentica babilonia. Francesi, canadesi, arabi, indigeni della Francia Libera col fez rosso.

Divise di ogni tipo e di ogni colore. Gli automezzi dell’esercito che devono farsi largo tra i cammelli e i carri trainati dai cavalli e su ogni cosa – su ogni scena – questo sole abbagliante. E il caldo che diventa opprimente, se dal mare non arriva un po’ di vento.

 

Jimmy. La cosa incredibile è come tutti parlano con tutti, una specie di esperanto basato sui gesti, molto più che sulle parole, sembra un immenso pub, solo che è all’aperto e non chiude mai. Uno di quei locali che si trovano nei grandi porti dove attraccano navi di cento nazionalità diverse. Entri a bere un bicchierino per i fatti tuoi e ti ritrovi a chiacchierare con dei perfetti sconosciuti, che è già tanto se sono europei. Quello che dicono esattamente non lo capisci, ma il senso sì.

O ne sei convinto, almeno.

John Steinbeck. I nostri – gli americani – hanno questa smania di accumulare oggetti. Comprano souvenir a tutto spiano, e anche cose che non sono nate affatto per essere dei ricordini, e li aggiungono ai reperti bellici che hanno trovato per conto loro. La maggior parte li vede come regali: uno scialle alla nonna, una baionetta per lo zio Charley, un narghilè per un amico che fuma solo la pipa.

 

Antonella Ferrera. Nella tarda estate del 1943 i progetti angloamericani di sbarco in Italia sono prossimi a diventare operativi. All’inizio le esercitazioni si svolgono nel deserto, con la sabbia che simula le acque costiere. Poi, quando si è raggiunta una certa padronanza, si fa lo stesso in mare, i mezzi anfibi scaricano le truppe in prossimità degli obiettivi, i soldati si allenano a scendere in massa e a muoversi con la massima rapidità possibile.Ciascuno di loro sa benissimo che, quando dovrà farlo davvero, ad attenderlo non ci saranno gli ufficiali istruttori ma i reparti tedeschi, con armi pesanti e mitragliatrici. Il rischio non sarà un rimprovero perché non sei stato abbastanza veloce. La punizione consisterà nell’essere colpiti e probabilmente uccisi. 

 

Jimmy. Un grande spettacolo, a osservarlo da fuori! Specialmente quando insegnano a combattere all’interno di un abitato, avanzando di casa in casa. Hanno tirato su delle scenografie come quelle di Hollywood, con le sagome degli edifici su cui si aprono porte e finestre. Le granate sono a salve, ma le usano come se fossero vere. Ai primi tentativi sono goffi, come attori che stanno provando la parte, dopo un po’, invece, sono perfettamente concentrati ed efficienti. Scrutano i cecchini sui tetti e studiano il modo migliore per snidarli, per neutralizzarli, per farli fuori. 

 

Antonella Ferrera. Il punto di svolta è l’Armistizio con l’Italia. Il documento è stato firmato il 3 settembre, ma gli accordi prevedono che non sia reso noto immediatamente. La comunicazione ufficiale viene messa in onda da Radio Algeri cinque giorni dopo, alle 17 e 30 dell’8 settembre 1943.

 

Eisenhower alla radio. Qui è il generale Eisenhower. Il governo italiano si è arreso incondizionatamente. Le ostilità tra le Forze Armate delle Nazioni Unite e quelle dell’Italia cessano all’istante. Tutti gli italiani che ci aiuteranno a cacciare il tedesco aggressore dal suolo italiano, avranno l’assistenza e l’appoggio delle nazioni alleate.

 

John Steinbeck. La lunga attesa è arrivata al termine. I soldati hanno concluso la preparazione e tra poche ore sbarcheranno in Italia, li ho visti cambiare, giorno dopo giorno. Gli sguardi dei ragazzi si sono fatti più profondi, e tornano a essere spensierati solo quando si mettono a giocare tra le onde, alla fine di una dura giornata di addestramento. La pelle gli si è scurita molto, per effetto del sole, ma non fa pensare per niente all’abbronzatura di una vacanza. Piuttosto al metallo brunito che esce dalla forgia temprato, e letale, come una buona lama.

 

Jimmy. Li aspetta il battesimo del fuoco, adesso.

 

John Steinbeck. Il momento della verità: nessuno può sapere come reagirà, sotto una grandine di pallottole. Coi traccianti che attraversano il cielo e i tuoi compagni – i tuoi stessi amici – che un attimo prima stanno correndo con te e un attimo dopo non ci sono più. Crollati a terra, forse solo feriti, forse già morti.

 

Jimmy. A proposito: tu lo sai qual è il punto esatto in cui sbarcheranno? Con me sono stati molto evasivi.

John Steinbeck. A sud di Napoli. Nei pressi di una città che si chiama… … si chiama Salerno.

 

Antonella Ferrera. La riservatezza dei comandi militari angloamericani non è bastata. Forse non può mai bastare, quando si preparano attacchi di così grande portata. I tedeschi si sono fatti trovare pronti, quando le navi nemiche si sono portate a ridosso del litorale e le truppe sono andate all’assalto. L’artiglieria era schierata sulle colline, le mitragliatrici sulle dune. L’esito della battaglia è rimasto incerto. Gli aggressori, risoluti a spazzare via gli avversari, hanno corso il rischio di essere spazzati via a loro volta. Poi, a poco a poco, la determinazione, il coraggio, e la superiorità logistica, hanno fatto la differenza.

 

John Steinbeck. Il mare è rimasto calmo, e questa è stata una gran fortuna. Viene voglia di dire che è stato buono con noi, e in queste circostanze si capisce bene perché nell’antichità siano nate le mitologie. Guardi le forze della natura – le contempli – e dietro il caos dei singoli eventi, scorgi il bagliore di una volontà, di una divinità.

 

Jimmy. Ho seguito il tuo consiglio, riguardo al battesimo del fuoco.

 

John Steinbeck. Hai parlato con qualcuno dei ragazzi?

 

Jimmy. Mi ha raccontato che ha attraversato molti stati d’animo differenti, che all’inizio gli sembrava quasi un film, mentre era ancora a bordo e guardava gli altri già in acqua che si affannavano verso la spiaggia, ma che poi, di colpo, si è reso conto che era tutto vero. E allora ha sentito il bisogno prepotente di muoversi, di agire, di fare la sua parte e appena ha toccato la terraferma si è sentito meglio, si è messo a correre verso i cespugli, si è buttato al riparo,s i è trovato accanto uno che non conosceva, si sono dati un’occhiata e  si sono sentiti entrambi un po’ scemi. Poi hanno ripreso ad avanzare, più o meno insieme, più o meno appaiati.

 

John Steinbeck. Una bella storia, niente in contrario se la riprendo in uno dei miei pezzi?

Jimmy. Figurati. Da me non vogliono altro che resoconti.

 

John Steinbeck. Che poi, per forza di cose, non sono molto di più che rimaneggiamenti dei bollettini dello stato maggiore. Anche ammesso che uno vada in prima linea, e si sforzi di vedere con i suoi occhi, quello che riesce a seguire di persona è una minima parte di quello che è successo. Il resto lo devi tirare fuori dai comunicati ufficiali e da qualche indiscrezione, se ci sai fare.

 

Antonella Ferrera. Steinbeck lavora soprattutto per la stampa, nella sua veste di corrispondente di guerra, ma ha accettato anche di curare un documentario per l’Esercito e insieme a un operatore filma nelle situazioni più diverse, che esulano dall’ambito militare e mostrano persone impegnate in attività di vita quotidiana. I testi verranno in seguito, scaturiranno dalle immagini.

John Steinbeck. Ho fatto una scoperta sorprendente, ho visto gli effetti straordinari di una cinepresa su chiunque vi si trovi davanti.

 

Jimmy. Si fanno belli?

 

John Steinbeck. Qualcosa del genere. Ma non tanto in senso estetico, in un modo più sottile, come se si mettessero in posa. Però interiormente.

 

Jimmy. Anche i soldati? Anche i feriti?

 

John Steinbeck. Specialmente loro.

 

Jimmy. Si vede che pensano di finire in un cinegiornale e che qualcuno dei loro familiari o dei loro amici possa riconoscerli.

 

John Steinbeck. Non credo sia vanità. Credo che in quel loro sorridere, nonostante le ferite a volte anche molto gravi, ci sia dell’altro. Alcuni potevano muovere a malapena il braccio e lo alzavano per salutare, stando attenti a non mostrare la loro sofferenza. «Qualcuno a casa vedrà queste sequenze, debbo farmi vedere meno malridotto di quello che sono, altrimenti staranno in pensiero».

 

Antonella Ferrera. Subito dopo la guerra venne offerto a Steinbeck di raccogliere in volume i suoi articoli sulla guerra, lui rifiutò, pensava che fosse meglio lasciarli decantare e che, semmai, li avrebbe potuti pubblicare in seguito, ammesso che gli sembrassero ancora degni di essere letti. Ma non è per questo che nel 1958 accettò di riproporli, col titolo di Once There Was a War, C’era una volta una guerra. L’intento era un altro: ricordare ai compatrioti un’America migliore di quella che si era affermata negli anni Cinquanta, tra la caccia alle streghe da una parte e la nevrosi della Guerra Fredda dall’altra.

 

Ascolta la trasmissione

 

ANTONELLA BOLELLI FERRERA, è giornalista professionista, lavora in Rai dal 2001 come autrice e conduttrice di programmi radiofonici molto apprezzati dal pubblico e dalla critica fra i quali La Storia in Giallo, oggi Cuore di Tenebra, Rosso Scarlatto per Radio3 e Il fuoco e il ghiaccio, Il fiore e la spada, Segreti d’Oriente – l’antica Arte della camera da letto per Radio2. È ideatrice e curatrice del Premio letterario Goliarda Sapienza Racconti dal Carcere. È presidente di inVerso Onlus, associazione per la diffusione della letteratura e della scrittura a favore delle categorie socialmente svantaggiate. Ha pubblicato Il fiore e la spada, zen e arti marziali (Baldini Castoldi Dalai 2005), Borderlife (Baldini Castoldi Dalai 2006), Inquiete (Raib Eri 2007) e ha curato la raccolta di racconti, Volete sapere chi sono io? Racconti dal carcere (Mondadori 2011), Siamo noi, siamo in tanti, racconti dal carcere (Rai Eri 2012).

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