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Un programma a cura di Loredana Rotundo, con Antonella Borghi, Lorenzo Pavolini e Roberta Vespa.
Il 27 febbraio 1851, il Congresso degli Stati Uniti approvava una legge, l’Indian Appropriations Act o Appropriation Bill For Indian Affairs, che regolamentava la dislocazione degli indiani d’America su tutto il territorio degli Stati Uniti. In quel periodo gli Stati Uniti uscivano da una guerra contro il Messico che aveva consentito alla giovane repubblica di accrescere il proprio territorio aumentandolo di circa un terzo rispetto a quello originale.
Ciò aveva comportato anche un significativo aumento delle popolazioni indigene che ricadevano sotto la tutela (o meglio, sotto il controllo) del governo degli Stati Uniti. Tutta la questione era nata dall’acquisizione dei due territori che costituiscono parte delle pianure interne degli Stati Uniti, il Texas a sud e i territori del Dakota (oggi gli stati del Nord e Sud Dakota) a nord. Il Texas era stata la ragione per cui la guerra con il Messico era scoppiata. Infatti il Texas, come altri territori quali il Nuovo Messico, l’Arizona e parte della California, apparteneva originariamente al neonato stato del Messico, che aveva colonizzato i territori al nord fino al confine con gli Stati Uniti dell’epoca. In questo territorio immenso risiedevano diverse tribù indiane. Quando gli Stati Uniti firmarono con il Messico il trattato di pace dopo una guerra durata due anni (1846-1848), questo comportò ovviamente che si ritrovassero in questo territorio una serie di popolazioni indiane a cui badare sia per la loro sopravvivenza che per il loro rapporto problematico con le popolazioni americane bianche. Il Texas, al quale era stata negata l’annessione agli Stati Uniti nel 1836, aveva dichiarato la propria indipendenza dal Messico. Ciò aveva portato a una serie di conflitti tra Texas e Messico che sfociò, durante la presidenza Polk, in una guerra degli Stati Uniti contro il Messico per tutelare la presenza massiccia di coloni di origine anglo-americana in quei territori. Questo conflitto portò all’acquisizione di altri territori oltre il Texas, quali il New Mexico, l’Arizona, la Baja California e parte del Colorado.
Alcuni anni prima, nel Nord Dakota, alcune importanti tribù come i Sioux, i Cheyenne e gli Arapaho avevano rivendicato la proprietà dei loro territori di caccia contro il sempre maggiore arrivo di coloni bianchi. Orlando Brown, direttore del Bureau of Indian Affairs (ufficio ancora oggi esistente incaricato della gestione dei rapporti con gli indiani), aveva suggerito di cambiare la linea politica del governo federale nei confronti delle popolazioni indigene, favorendo la creazione di territori che delimitassero le zone abitate da indigeni rispetto a quelle abitate dai bianchi. Fino ad allora la politica degli Stati Uniti consisteva nel costringere le popolazioni indigene a migrare verso ovest, creando spesso disastri demografici: i Sioux del Centro Nord avevano invaso con la violenza le terre delle tribù del Midwest, sostituendosi ad esse ed espandendosi sui territori di caccia che erano appartenuti ai Nez Percé, ai Crow e ai Pawnee.
L’idea di istituire territori appositi per gli indiani d’America, separati dai territori dei bianchi, era venuta anche a William Medill, Commissario degli Affari Indiani, che aveva preceduto nell’incarico Orlando Brown. Questi aveva dichiarato che gli indiani dovevano rassegnarsi all’inevitabile conquista dei loro territori e che non potevano pretendere di continuare a muoversi senza controllo nei loro territori tradizionali. in una lettera al capo del Bureau of Indian Affairs, aveva anche scritto: “è nella natura del bisonte e di ogni tipo di selvaggina di ritirarsi davanti all’avanzare della civiltà e il danno lamentato non è che uno degli inconvenienti a cui vanno incontro tutti i popoli che si oppongono allo spirito innovatore costantemente progressista della nostra epoca”. Quegli anni (1848-50) furono anche gli anni del gold rush, la corsa all’oro, che aveva spinto moltissimi coloni verso ovest diretti in California, attraversando in questo modo, e spesso con scontri violenti con le tribù indigene, i territori del Texas, del Messico, del Colorado e del Kansas.
Nel frattempo in Texas si stava definendo la progressiva separazione tra bianchi e indiani, per i quali la legge texana non prevedeva neppure il diritto di proprietà sui territori appartenuti loro tradizionalmente. Nello stesso periodo più a nord veniva aperto l’Oregon Trail, un grande corridoio che a metà dell’800 consentì a centinaia di coloni euro-americani di trasferirsi ad ovest, occupando gli stati del Missouri, del Kansas, del Nebraska e del Wyoming, dove risiedevano numerose tribù indiane d’America. A nord dell’Oregon Trail, nei territori del Dakota, le potenti tribù Sioux e Cheyenne erano riuscite a dominare le popolazioni originarie della zona, meno bellicose.
Si stava verificando qualcosa di simile a ciò che era avvenuto negli anni ’30 dell’ ‘800 quando, violando le leggi federali, gli stati della Georgia e del North Carolina avevano deportato con la forza le tribù indigene verso ovest. Il piano in questo caso era quello di creare una enorme riserva indiana nelle pianure centrali, che si ritenevano scarsamente dotate di risorse. Questo piano prevedeva che gli indiani vivessero separati dai bianchi e che si potesse aprire un corridoio per attraversare le pianure centrali per permettere ai coloni di insediarsi negli stati attuali dell’Oregon, di Washington e della California. Il trail of tears (sentiero delle lacrime) vide centinaia di tribù indiane del sud-est spinte a trasferirsi verso l’Oklahoma, sotto il controllo dell’esercito americano. Durante il trasferimento forzato vi furono migliaia di vittime. Il governo federale a Washington non si preoccupò minimamente di intervenire sebbene la legge prevedesse che vari territori del sud-est appartenessero ancora alle tribù indigene. Nello stesso periodo il Nuovo Messico cadeva sotto il controllo degli Stati Uniti, dove il governo federale si trovò a gestire una situazione del tutto particolare. Nel Nuovo Messico vivevano diverse tribù guerriere (come i Navajos, gli Apache e gli Ute) spesso in conflitto tra di loro e che assalivano ripetutamente non solo gli insediamenti bianchi, ma anche quelli dei pueblo. Queste tribù, che praticavano l’agricoltura, prendevano il nome dalle loro abitazioni costruite con terra e mattoni, di solito addossate a delle montagnole, frequenti sull’altopiano del deserto del Nuovo Messico, con la finalità di rendere più difficile un assalto al loro villaggio. Secondo l’ Agente per gli Affari Indiani e futuro governatore di quel territorio James Calhoun, i pueblo avrebbero dovuto essere riconosciuti da subito cittadini degli Stati Uniti poiché, praticando l’agricoltura e costruendo abitazioni in muratura, dimostravano di possedere un consistente grado di civiltà. Anche nel caso di Calhoun la soluzione delle riserve sembrò essere l’unica strada percorribile, perchè garantiva sia il controllo delle popolazioni indigene e sia maggiore sicurezza per i bianchi che si andavano a stanziare nelle zone limitrofe. Era inoltre una garanzia per gli stessi indiani, che stavano rischiando di perdere tutto per mano dei coloni bianchi.
Iniziava così nel 1851 la politica delle riserve che riprendeva idee già promosse durante il periodo coloniale e nel primo periodo dopo la rivoluzione. In sostanza l’idea era quella di isolare gli indiani riservando loro un territorio circoscritto, rendendoli invisibili agli occhi dei bianchi. Contemporaneamente in Texas il locale Agente per gli Affari Indiani, Robert Simpson Neighbors, induceva l’esercito federale a trasferire le tribù indigene locali. L’idea delle riserve stava quindi prendendo piede in modo indipendente in diverse parti del Paese. Ci si rendeva conto che lo spostamento sempre più a ovest della linea di demarcazione con i territori indiani e il conseguente controllo del territorio, elemento fondante dell’esperienza nazionale e identitaria degli Stati Uniti di metà 800, doveva comportare anche la rimozione delle popolazioni indigene.
Secondo Neighbors alcune tribù guerriere come i Comanche, i Wichita e i Washo potevano essere costrette in appositi territori, nell’ovest del Texas, che dovevano essere acquistati dal governo federale, in quanto nel Texas non veniva riconosciuto agli indigeni nessun diritto di proprietà.
In questo modo si sarebbero potute istituire zone speciali, riservate alle tribù, con l’obiettivo di evitare che entrassero in contatto con i nuovi coloni nelle loro attività di caccia che continuavano a praticare. Al fine di impedire agli indiani tanto la caccia che i loro spostamenti, iniziò nelle grandi pianure del centro degli Stati Uniti una sorta di guerra ecologica, che portò alla distruzione, da parte dei bianchi, delle enormi mandrie di bisonti che avevano da sempre assicurato la sopravvivenza di queste tribù.
Fu così che nelle nelle zone centrali del Paese si scatenò una guerra permanente tra il governo federale e le tribù indiane finalizzata all’appropriazione di quelle terre.
Le proposte dei due direttori del Bureau of Indian Affairs, Medill e Brown, prevedevano di costituire due enormi riserve, senza considerare il fatto che all’interno di queste dovevano convivere popolazioni indiane completamente diverse le une dalle altre.
Gli indiani non si percepivano come un popolo unico, ma ogni tribù rivendicava una sua specifica identità che la distingueva da quella degli altri popoli indiani.
Queste proposte, che arrivarono a Congresso nel 1849, non sortirono un effetto immediato ma avviarono un dibattito su quello che ormai veniva definito il problema indiano, dibattito che avrebbe portato all’approvazione il 27 Febbraio del 1851 dell’Indian Appropriations Act.
Quello stesso anno nei territori del nord (dove risiedevano popolazioni importanti come i Sioux, i Cheyenne, i Crow, gli Arapaho) si giungeva a un accordo, il trattato di Fort Laramie, che assegnava precisi territori di caccia a quei popoli. Per assicurare che i confini stabiliti non fossero superati, si costruirono fortini e posti di controllo e si istituirono agenzie governative che potessero controllare gli indiani nel rispetto effettivo di tali confini.
La recinzione dei loro territori era difficile da comprendere da parte di quelle tribù indiane, i cui sconfinamenti erano inevitabili soprattutto verso quei territori come per esempio le Black hills, le Colline Nere, che erano sacre per il popolo dei Sioux. Ciò portò inevitabilmente a continui scontri armati tra le truppe degli Stati Uniti e le diverse tribù indiane che da quel momento cominciarono ad allearsi tra di loro.
Nel 1849 intanto il governo federale aveva istituito un nuovo ente governativo, il Dipartimento degli Interni, per la gestione dei territori che venivano aggiunti sempre più frequentemente alla repubblica. Sotto la giurisdizione del dipartimento passò anche l’Ufficio per gli Affari Indiani (il Bureau of Indian Affairs), che fino ad allora era dipeso dal Dipartimento della Guerra. Fatto questo significativo per capire come, nel primo periodo dopo la rivoluzione, il governo degli Stati Uniti avesse percepito la questione indiana come una questione militare. Sottintendendo in questa concezione che comunque gli indiani rappresentavano un pericolo per i coloni bianchi e per la sicurezza stessa della nazione.
Questa nuova istituzione portò anche al cambiamento di linea politica del governo degli Stati Uniti, in quanto questo Dipartimento contribuì a fare in modo che l’Ufficio per gli Affari Indiani cominciasse a mutare la sua politica verso le tribù indiane. Alcuni filantropi e persone influenti che avevano a cuore il destino di queste popolazioni, come ad esempio i cosiddetti riformatori cristiani che si proponevano di civilizzare i popoli indigeni, cominciarono a richiedere un trattamento più rispettoso e a considerare gli indiani non più come stranieri (nazioni straniere infatti li definiva la Costituzione degli Stati Uniti), ma come protetti del governo degli Stati Uniti, o wards, soggetti sotto il controllo del governo americano.
A metà dell’800 si erano sviluppate teorie sullo stato della cultura di queste popolazioni che stabilivano la necessità di civilizzarle. Queste consideravano gli indiani come “bambini che vanno educati, istruiti e portati alla conoscenza del valore della civiltà” 1 moderna e del capitale.
Si iniziò inoltre a pensare che le riserve indiane potessero essere ripartite e divise, non più quindi gestite in forma collettiva e comunitaria dalle tribù come avveniva all’inizio nella maggior parte dei casi.
I continui confronti e scontri tra gli indiani d’America e il governo degli Stati Uniti (e in particolar modo con quei distaccamenti militari che erano stati inviati a ovest per favorire sia la colonizzazione che il controllo delle tribù indiane) portarono inevitabilmente a ulteriori guerre tra le diverse popolazioni. In particolar modo gli Apache, i Comanche, i Navajos, e più a nord i Sioux e i Cheyenne, si scontrarono frequentemente con l’esercito federale, anche durante la guerra civile (1861-65). Gli indiani mal sopportavano il controllo da parte del governo federale e volevano rivendicare il loro dominio su quelle terre. Oltretutto il concetto di proprietà privata delle terre per la maggioranza delle tribù indiane d’ America era qualcosa di inconcepibile: la terra, generatrice e madre della natura e degli esseri umani, non poteva essere proprietà di alcuno.
Nel 1871 ebbe così inizio la progressiva approvazione di leggi che portò, alla fine dell’800, a un’ espropriazione definitiva e completa dei territori indiani, mantenendo sì l’esistenza delle riserve ma suddividendole e parcellizzandole in tante piccole proprietà private con la speranza che gli indiani cominciassero poi a praticare l’agricoltura. Cosa che successe in pochissimi casi. Infine, in quello stesso anno, il nuovo Indian Appropriations Act privò di qualsiasi sovranità le nazioni indiane che così non erano più riconosciute come indipendenti. L’ultima grande riserva di Pine Ridge, quella dei Sioux (la più grande insieme a quella dei Navajo), veniva definitivamente frammentata nel 1889 in tanti piccoli dipartimenti controllati da agenzie del governo federale, cosa che portò queste popolazioni a vivere soprattutto dell’assistenza economica del Governo federale.
L’ultima resistenza dei Sioux fu soppressa nel sangue (nel tragico episodio di Wounded Knee Creek, Pine Ridge nel dicembre del 1890), quando i Sioux non erano più in grado di opporre una resistenza militare adeguata all’esercito federale. Nella storia sono comunque rimaste famose alcune significative vittorie in particolar modo di Sioux, Cheyenne e Arapaho che, alleati, nel 1876 sconfissero il reggimento del generale Custer nella battaglia del Little Big Horn. Le riserve sono sopravvissute, anche se sempre più ridotte, e la politica varata il 27 febbraio del 1851 dal Congresso degli Stati Uniti ha avuto conseguenze di lungo periodo, fino ai nostri giorni, su tutti i popoli indiani residenti sul territorio statunitense.
- Nancy Ostreich Lurie, An American Indian Renascence?, “Midcontinent American Studies Journal,” 1, 1965, pp. 25-50