2a puntata – Hammam
Siamo alla seconda puntata di questo nostro breve percorso che riguarda l’islam guardato dal punto di vista di alcune sue parole solo apparentemente semplici. In grado di permetterci di fare qualche considerazione su come questo mondo estremamente vasto e complesso si è posto in relazione con altri mondi.
La seconda parola è “Hammam”, bagno potremmo tradurla con un po’ troppa velocità. In realtà è qualcosa che parla della nostra stessa geologia.
L’acqua appartiene ai nostri sogni più profondi: evoca la maternità, la pulizia, la purità, la sensualità, la nascita e la morte. Lo ha ricordato con grande poesia il filosofo Gaston Bachelard, ma in fondo lo sappiamo tutti, perché lo abbiamo letto nei miti e nelle favole e, soprattutto, lo abbiamo provato sulla pelle. Nei suoi vapori densi, nel silenzio ritmato dal gocciolio dell’acqua, l’hammam accoglie tutti questi antichi significati e li amplifica. Mai come in questo caso non è solo la storia di una parola che bisogna fare, ma la storia delle sue tante traduzioni e di un lento sovrapporsi di concetti.
Tutto comincia col calore; un calore particolare, sprigionato dalla terra attraverso acque profonde. I greci questo calore lo chiamarono βαλανεῖον, balaneion: bagno di acque calde. Pare che quell’uso delle acque fosse persino più antico di loro: da ritrovamenti cretesi si è scoperto che se ne giovarono persino minoici e micenei. Conosciamo poco di quei tempi così lontani, ma sappiamo almeno che a partire circa dal VI secolo a.C. la pratica si fece più diffusa. Basse vasche per sedersi a fare le abluzioni; vasche più profonde per immergersi; ambienti circolari riscaldati con bracieri, per starsene a sudare. La Grecia classica vide sorgere numerosi luoghi di questo tipo. Spesso accanto ai santuari, come il balaneion di Gortina d’Arcadia, che era parte degli impianti curativi di un luogo sacro ad Asclepio, il medico divino per eccellenza. Questo rapporto tra acque termali e salute sarebbe durato per sempre. Alla radice c’era un’idea in fondo abbastanza semplice. Il corpo era composto da quattro umori, sangue, flegma, bile gialla e bile nera; vi era salute quando i quattro umori erano equilibrati e mescolati; e malattia invece quando uno degli umori si isolava mettendosi a defluire. Si pensava inoltre che tale squilibrio fosse legato all’ambiente esterno: alle qualità elementari (caldo, freddo, secco, umido), alle stagioni e così via. Tra i tanti rimedi possibili, le calde acque termali offrivano un ampio spettro di possibilità: sudorazioni, vapori bollenti, immersioni in acqua calda o fredda. Una tradizione medica e curativa, questo, che avrebbe avuto una lunghissima storia: dai greci ai romani, agli arabi, sino di fatto ai giorni nostri.
Fu anche in ragione di simili convinzioni che la pratica si diffuse. Tecniche di riscaldamento e architetture si fecero via via più sofisticate, e alla fine del II e l’inizio del I sec. a.C., i balaneia, come quello trionfale di Olimpia, erano ormai opere d’arte. Fu più o meno a quel tempo che i romani li notarono. I latini stavano imparando molto dai greci; e in quei bagni pubblici colsero un senso sociale che ai greci era in parte sfuggito. Lavarsi era un conto, fare del bagno uno dei cardini della vita civile decisamente un altro. Forse anche per questo fu necessario trovare un’altra parola. Balneum, in latino rimase ma servì per indicare cose piccole: semplici bagni in acqua calda e fredda, lussi termali per lo più privati. Per dare un nome ai nuovi grandi bagni si guardò ancora al greco: θερμός thermos, il calore. Il latino ne ricavò una parola che avrebbe fatto fortuna: thermae, terme. Fu una rivoluzione dei costumi: a partire dalla tarda età repubblicana l’uso degli impianti termali divenne sempre più un fatto quotidiano, una pratica diffusa e condivisa. Una pratica stimolata persino dalla politica, se è vero che tra i grandi costruttori di terme pubbliche si annoverano imperatori come Tito, Traiano, Caracalla e Diocleziano. Non si andava alle terme solo per la propria pulizia e il proprio benessere, ma anche e soprattutto per incontrarsi, stringere accordi, parlare di affari, e sperare pure incontri galanti. E per ovviare agli eccessi della promiscuità furono adottati orari distinti: in genere le donne alla mattina e gli uomini al pomeriggio, sino all’abituale orario di chiusura, intorno alla II ora della notte (più o meno le 21). Molte di queste terme erano edifici imponenti, dove ci si muoveva con abitudine e cadenze precise. Si lasciavano le vesti nell’apodyterium, lo spogliatoio, talvolta decorato e dotato di panche in muratura; da lì si poteva passare alle palestre, dove giocare a palla o fare altra attività sportiva. Sudati e affaticati, dalle palestre si passava allora nel laconicum, cioè la sauna (il nome lo prendeva dalla città di Sparta, emblema della cultura atletica). Per entrare in un calidarium, talvolta di forma circolare, dotato di una vasca in muratura, che serviva ai bagni caldi; poi in un tepidarium, dalla temperatura intermedia dove sostare e spargersi il corpo di unguenti; e infine nel frigidarium, dove ci si immergeva in bagni freddi e ristoratori. Lungo tutti gli ambienti statue, marmi e mosaici e spazi per la ricreazione, luoghi dove conversare, leggere, ascoltare musica e ammirare opere d’arte.
Difficile immaginare qualcosa di più romano delle terme. Quelle strutture raggiunsero ogni parte dell’impero, da Napoli alla lontana Inghilterra (la città di Bath ricorda ancora nel suo nome questa radice antica), sino alle province dell’Asia. Molte di esse sopravvissero anche ai secoli di declino. Nella parte orientale dell’impero, a Bisanzio, per tutto il medioevo, i bagni della tradizione classica continuarono ad essere utilizzati. Anche se generalmente in forme molto meno imponenti.
Fu probabilmente lì che li incontrarono gli arabi e i turchi.
A dire il vero non sappiamo molto di questo incontro, ma qualcosa possiamo immaginarlo. Inizialmente ci furono i tanti territori bizantini dove era diffusa o almeno conosciuta la pratica termale. A est del Mediterraneo, molti dei sudditi che conoscevano e praticavano le terme parlavano sicuramente siriaco, dialetti arabi e turchi. Poi venne l’invasione, a partire dal VII secolo: l’islam dilagò in Africa settentrionale e nel vicino Oriente, assorbendo molti dei territori di Bisanzio e portando con sé la lingua araba della parola di Allah, una nuova cultura e una nuova civiltà. Ci volle tempo naturalmente, ma secolo dopo secolo quei luoghi di acque calde si ricavarono uno spazio sempre più importante nel mondo islamico che stava nascendo.
C’era una prassi antica e una religione che poneva con forza l’accento sulla necessità di una costante purità rituale data dall’acqua. I luoghi erano più o meno gli stessi dei secoli precedenti; le loro profonde acque calde il punto di partenza. Per parlarne, gli arabi avevano in effetti un termine a cui fare riferimento, questo termine veniva da un’antica radice semitica, hm, il cui significato era appunto “caldo”. Questa radice aveva dato in accadico ememu, in aramaico hamam, e nell’ebraico biblico hom, tutte più o meno con lo stesso significato: caldo, calore. In arabo c’era hamm, bastava poco: il nome per designare il luogo dove questo calore si sprigionava venne probabilmente da sé, hammam.
Fino circa al IX secolo non sappiamo quasi nulla degli hammam: le fonti arabe sono per lo più silenziose e anche l’archeologia non aiuta. Per un po’ probabilmente gli hammam furono cose private, riservate ai califfi, come il complesso omayyade di Qusayr ‘Amra in Giordania (VIII secolo). Ma alla fine di questo percorso sarebbe nato uno degli elementi più caratteristici e diffusi delle città islamiche. Nel X secolo si raccontava (esagerando un bel po’) che Baghdad ne contasse 10.000; e che centinaia fossero quelli di grandi città come Cordoba o Isfahan.
Pur tra molte varianti regionali ed estetiche, la lezione dei greci e dei latini si sentiva: una successione di sale, più o meno spaziose, con una disposizione che serviva sostanzialmente per domesticare il calore, in modo che vi fosse una gradualità nel passaggio tra la sala più fredda, bayt al-bārid (letteralmente “casa del freddo”, cioè il frigidarium) e la sala più calda (bayt al-sukkūn, il calidarium). Tra le due, a seconda dei tipi di hammam e della loro importanza, una o più sale che facevano da legame tra gli estremi: le wastiyāt, equivalenti sostanzialmente al tepidarium latino.
Come per greci e latini, anche per il mondo islamico l’acqua purifica e cura. Anzi di più: l’acqua è una manifestazione della stessa bontà divina. Lo ricorda anche il Corano, a più riprese: “Dio ha creato tutti gli esseri viventi dall’acqua” (XXIV,45), o ancora “Abbiamo fatto scendere dal cielo un’acqua benedetta, per mezzo della quale abbiamo fatto germogliare giardini e il grano delle messi e palme slanciate dalle spate sovrapposte, sostentamento dei nostri servi” (L, 9-11). C’è un senso religioso in tutto questo; un senso che, a ben guardare, è all’origine stessa della diffusione dell’hammam nel mondo islamico. Grazie a quell’acqua purificatrice, infatti, l’hammam simbolizza e consente la purezza rituale del musulmano. Al suo interno i credenti possono effettuare il ghuṣl, o l’abluzione maggiore, o il wuḍūʾ, l’abluzione minore, ottenendo così la purità rituale indispensabile per la salāt, la preghiera giornaliera. Come prescritto sempre dal Coraqno (5: 6): “O voi che credete! Quando vi levate per la preghiera, lavatevi il volto, le mani [e gli avambracci] fino ai gomiti, passate le mani bagnate sulla testa e lavate i piedi fino alle caviglie. Se siete in stato di impurità, purificatevi. Se siete malati o in viaggio o uscendo da una latrina o dopo aver accostato le donne non trovate acqua, fate la lustrazione con terra pulita, passandola sul volto e sugli avambracci. Allah non vi vuole imporre nulla di gravoso , ma purificarvi e perfezionare su di voi la Sua grazia affinché siate riconoscenti”.
Il punto della purità rituale è estremamente complesso e qui lo possiamo solo inevitabilmente accennare, di passaggio; è legato profondamente alla necessità della preghiera, cioè ci si accosta alla preghiera dopo avere compiuto gli atti che purificano il corpo e per compiere questi atti si ha bisogno dell’acqua.
La scorsa settimana parlavamo di moschee e la moschea presenta come sua necessità strutturale un luogo per le abluzioni. Se la moschea è grande, una fontana, se è invece piccola basta un lavandino. Questa abluzione trova nell’ “hammam” il luogo ideale dove compiersi, ecco perché l’ “hammam” trova sin da subito un ruolo difficilmente scardinabile nella società islamica.
Naturalmente questa forte idea religiosa, non toglie nulla alla più antica idea di purificazione e cura di valore medico. Tutti questi significati si sono in qualche modo sommati, rinnovando una tradizione antica. Come nelle terme, anche le acque calde dell’hammam sono acque che curano. Talmente vero che la tradizione popolare parla di quel luogo come di un al-tabīb al-bakkūsh, un “medico muto”, capace di guarire ogni sorta di mali, dai problemi respiratori ai reumatismi, attraverso il calore, i vapori e la sudorazione abbondante che ne deriva. Per secoli i medici musulmani, Avicenna su tutti, non perderanno occasione di ricordare l’importanza curativa delle immersioni calde e fredde, accompagnate magari da applicazioni di sostanze aromatiche e bevande ritempranti.
Acqua che purifica, acqua che cura, e in questo senso non è poi così difficile capire perché acqua e giardini nell’immaginario islamico siano così profondamente collegati. Usciamo un attimo dall’ “hammam” e proviamo ad entrare magari in una delle grandi case che si possono trovare vicino ad un luogo del genere. Se si entra in una grande casa vuol dire che si sta per entrare anche in un cortile interno e probabilmente in un giardino. Un luogo al centro del quale non è impossibile trovare una fontana circondata da alberi, roseti, un luogo di silenzio semplicemente ritmato dal mormorio di una fontana dove rilassarsi, ricrearsi , dove vivere la convivialità, vivere come se si fosse nel paradiso. Il Corano quando parlava di giardino usa parole come janna e firdaws indicando con esse anche il paradiso, cioè il giardino riservato ai credenti dopo la morte. La parola janna, la più usata, rimanda nella radice all’idea di “ciò che è coperto”, coperto di verde appunto. Talvolta, quando è usata al plurale (jannat), fa riferimento esplicito ai giardini della terra: «Vi ponemmo giardini di palme e di viti e vi facemmo fluire fonti perché ne mangino i frutti» (36, 34-35). Il termine firdaws è analogo nel significato: giunge all’arabo dal persiano, ma ricorda l’ebraico biblico e l’aramaico fardés (che nella Bibbia vuol dire appunto giardino o frutteto). La derivazione comune a tutti è dall’avestico pairidaeza, termine che in origine significava “riserva di caccia reale” e che a sua volta passò al greco con parádeisos e di lì alle lingue occidentali donandoci infine il nostro paradiso.
Una parentesi, appunto, per ricordare quanto l’acqua sia legata a sensi e a percezioni diverse; oltre che ad un immaginario molto più vasto e complesso di quello che si normalmente potrebbe pensare.
Anche per questo l’Hammam si è adattato facilmente alle tante culture e tradizioni regionali del mondo islamico. Anche il mondo ottomano di lingua turca, erede a un tempo della tradizione islamica e di quella bizantina, non poteva che accogliere con entusiasmo la pratica dell’hammam, adottandone persino il nome (in lingua turca oggi si scrive hamam: una emme sola e niente di più). Così, a quanto racconta il viaggiatore Evliya Çelebi, a metà del XVII secolo Costantinopoli pare vantasse ben 61 hammam nella città propriamente detta e 51 nei sobborghi (senza contare ovviamente quelli privati). Sostanzialmente non era cambiato molto dai secoli precedenti: i bagni erano il luogo dove un’intera società si incontrava. Alcuni hammam avevano persino orari per gli infedeli. Tutti invece distinguevano, come al solito, tra orari per uomini e orari per donne. Ci si andava ovviamente per lavarsi, ma era sempre possibile trovare sulla porta dei venditori di pasta depilatoria o dei barbieri ambulanti dai quali farsi rasare il viso e la testa. Una frequentazione talmente diffusa e capillare da far sì che i bagni finissero sotto la sorveglianza diretta del muhtesib, il censore della moralità pubblica e commerciale.
Fu proprio attraverso il mondo ottomano che gli europei incontrarono l’hammam; lo chiamarono “bagno turco”, ed è comprensibile. Di quei luoghi, della loro quotidianità, videro in realtà poco e immaginarono molto. La sensualità del bagno e la sua valenza erotica erano ovviamente già ben presenti al mondo islamico, ma per gli europei l’hammam, il bagno turco, divenne quasi un’espressione tangibile di quella promiscuità e quella lussuria che essi attribuivano agli “orientali”. Già i viaggiatori cinquecenteschi come Nicolas de Nicolay avevano fantasticato sugli hammam ottomani sostenendo quanto fosse “pericoloso” riunire un così grande numero di donne nella privacy di un bagno a causa della lussuria femminile e degli atteggiamenti saffici che ne sarebbero inevitabilmente (!) derivati. Da lì in poi sarebbe stato tutto un inseguirsi di erotismi lascivi, di corpi sudati ed eunuchi inutilmente vogliosi. Quel tipo di immaginario che avrebbe riempito opere teatrali, romanzi e quadri orientalisti. Provate a pensare a Rossini ad esempio e a una delle sue opere simbolo, “L’Italiana in Algeri”. Era il 1813 e un giovanissimo Rossini rappresentava al meglio, ormai, un prodotto consolidato dell’immaginario europeo occidentale sull’oriente, e più nello specifico su cosa doveva essere l’harem e al suo interno l’ ”hammam” popolato di donne e cortigiane. E tutto questo con buona pace di quei pochi che nei bagni entrarono davvero, scoprendo un mondo parecchio diverso. Come la famosa Lady Montague, una delle poche viaggiatrici ad averci lasciato un ritratto al femminile di quei luoghi, e che in una lettera del 1717 tentò invano di raffreddare i bollori maschili europei:
Sui primi sofà, coperti di cuscini e ricchi arazzi, si misero le padrone; sui secondi le schiave, ma in modo che il loro abbigliamento non poteva differenziarle per il rango, giacché tutte erano in stato di natura, o detto con semplicità erano completamente nude…tuttavia non avevano il più pallido sorriso libertino, né il più piccolo gesto impudico.
Ma non era solo un problema di sguardi. Il progressivo insinuarsi di idee e tecnologie europee stava cambiando profondamente le società islamiche. Arrivò l’acqua corrente, arrivarono nuove idee sugli spazi urbani e sulla salute pubblica; e poco a poco gli hammam cominciarono a essere guardati come qualcosa di retrogrado: luoghi associati alla prostituzione maschile e femminile, ormai deteriorati dal tempo, minati da pessime condizioni igieniche.
E curiosamente questo avveniva mentre l’Europa riscopriva il termalismo: il progredire delle scienze chimiche, fisiche e biologiche, le nuove sperimentazioni mediche ottocentesche, il ricorso a terapie naturali, la nascita dell’idea stessa di turismo, tutto questo condusse sempre più persone a viaggiare attraverso l’Europa per giovarsi di fanghi, acque e vapori. Termalismo prese a significare tante cose diverse: un soggiorno in un luogo con sorgenti minerali calde o fredde; la possibilità di prendere bagni o fanghi in grotte naturali, la frequentazione di terme e via dicendo. Luoghi già noti ai romani come Baden Baden divennero centri di un nuovo turismo raffinato, luoghi di riflessione e risposo e persino occasionali sedi di incontri politici discreti. Di questo nuovo clima sociale e culturale e di queste prospettive turistiche si giovarono anche i tanti bagni presenti in città dell’Europa dell’Est profondamente influenzate dalla tradizione ottomana. Budapest su tutte. Poi anche quel mondo poco alla volta scomparve e per buona parte del Novecento, delle terme rimase solo l’immagine un po’ demodé di vecchi stabilimenti consunti e inutilmente sfarzosi.
Sino a pochi decenni fa sarebbe stato difficile immaginare il nuovo globale interesse che oggi alimenta bagni turchi e luoghi termali in generale. Un fermento di investimenti, riaperture e restauri, una riscoperta di vicende storiche e spazi artistici: acque, fanghi, terme e massaggi hanno recuperato uno spazio sempre più ampio nella cultura contemporanea. Per l’ennesima volta, hammam, ha cambiato suono e senso, diventando parte di un più complesso insieme di luoghi della salute e dello spirito, luoghi dell’industria del benessere privi di una vera e propria identità territoriale. Un po’ come la parola sauna o il termine spa (che molto probabilmente non deriva da un’espressione ben poco romana come salus per acquam, ma dal più convincente toponimo belga, legato al termine vallone espa, che sta per fontana, sorgente). Un fenomeno globale che non poteva non interessare anche il mondo a maggioranza musulmana. Al Cairo come a Istanbul si avverte ormai la differenza: l’hammam come necessità ha lasciato spesso il posto all’hammam come piacere o come luogo di interesse turistico. Ciò non toglie che in moltissimi luoghi, esso mantenga la sua antica funzione sociale o religiosa. Il fatto che in questa parola i significati non scompaiano ma si fondano per lo più con nuove e diverse idee non deve stupire. L’acqua è così: un elemento profondo, antico; può trasformarsi, scorrere, persino evaporare, ma i suoi legami con la sua e nostra geologia raramente li perde.