Coloro che per lungo tempo hanno seguito i fratelli Coen1 e il loro universo cinematografico pieno di criminali, di nichilisti e di sovranisti potranno vedere nel film “The Tragedy of Macbeth”2 di Joel Coen una resa dei conti a lungo rimandata con lo stesso Shakespeare, che è stato negli stessi ‘luoghi narrativi’ ben prima di loro. Solitamente non pensiamo a Shakespeare come a un autore interessato a storie ‘crime’, ma certamente lo è stato fin dal primissimo testo su cui probabilmente mise le mani, ‘Arden of Faversham’3 – una storia vera nella quale la moglie cospira con l’amante al fine di uccidere il marito – fino ad ‘Amleto’ e al ‘Macbeth’.
Ci sono momenti in “The Tragedy of Macbeth” in cui Shakespeare e Coen sono perfettamente in sintonia, come per esempio nella scena in cui Macbeth corrompe due assassini senza nome per uccidere Banquo. Lo sventurato duo avverte l’inutilità e il pericolo nel non accettare l’incarico, e nei loro sguardi ansiosi e rassegnati sembrano essere entrati sul set direttamente da un precedente film dei fratelli Coen.
È passato mezzo secolo dalla distribuzione, nel 1971, del sanguinolento ‘Macbeth’ in Technicolor di Roman Polanski4. E stato il terzo grande adattamento dell’opera teatrale dal dopoguerra; il primo è stata una versione in bianco e nero diretta da Orson Welles5, uscita nel 1948 e il secondo ‘Il Trono di Sangue’ di Akira Kurosawa6, sempre in bianco e nero, uscito nel 1957. Questi Macbeth del secondo dopoguerra erano condizionati dagli orrori degli anni ’30 e ’40 del 900, proprio come l’originale di Shakespeare era stato condizionato dagli eventi a lui prossimi. Fu scritto infatti all’indomani del ‘congiura delle polveri’ (Gunpowder Plot), un tentativo fallito nel novembre 1605 di assassinare il monarca di Scozia e Inghilterra, Re Giacomo I, compiuto da complottisti cattolici. Il ‘Macbeth’ di Welles, fu girato mentre la Commissione per le Attività Anti-americane stava compiendo la nota persecuzione dei dieci di Hollywood, e risulta una sorta di compagno di strada della sua versione antifascista del ‘Giulio Cesare’ (di Shakespeare) allestita a teatro nel 1937, e che egli sottotitolò “La Morte di un Dittatore”. Come ha notato un critico, nel Macbeth di Welles “I poli della monarchia e della tirannia di Shakespeare sono stati sostituiti da una visione del mondo destrorsa che non può ammettere altro se non la dittatura e il disordine.”
L’adattamento di Kurosawa, concepito mentre il Giappone era ancora occupato dai soldati americani e ambientato nel conflittuale periodo medievale Sengoku7, invece esplora l’effetto corrosivo delle ambizioni imperiali e del militarismo.
La politica nel ‘Macbeth’ di Polanski è particolarmente irta. La scena in cui Lady Macduff e i suoi figli sono terrorizzati e poi uccisi dagli assassini inviati da Macbeth deve molto a ciò che Polanski visse da bambino nel ghetto di Cracovia. Ma lo sfondo immediato per la realizzazione del film è stato certamente il barbaro omicidio di sua moglie, Sharon Tate, e dei loro amici per opera di Manson e della sua gang nell’agosto del 1969. Quando il collaboratore Kenneth Tynan chiese a Polanski se la scena del film non fosse troppo sanguinolenta, egli rispose: “Non hai visto casa mia la scorsa estate. Sono un esperto in fatto di sangue”
Questi registi hanno voluto ambientare la storia in uno specifico luogo e momento storico. Polanski era determinato nel girare in location (e quindi non in studio) in Gran Bretagna, con luce naturale. Kurosawa ha costruito il set per gli esterni del castello, con grandi spese e manodopera, nel paesaggio rachitico e nell’atmosfera nebbiosa del Monte Fuji. Sia Polanski che Kurosawa erano profondamente interessati a ricreare un preciso mondo medievale. (Polanski alla sua Lady Macbeth fece girare nuda la scena del sonnambulismo – dal momento che, sosteneva, nessuno indossava indumenti da notte all’epoca – facendo guadagnare al film il bollino di vietato ai minori che lo danneggiò al botteghino.)
Più o meno nello stesso periodo in cui il film di Polanski veniva proiettato nelle sale, una quattordicenne della Pennsylvania occidentale cominciava a recitare in una produzione scolastica, nella quale interpretava Lady Macbeth nella scena del sonnambulismo. Mezzo secolo dopo quella ragazzina, Frances McDormand8, ha interpretato lo stesso ruolo nel film di Coen.
Joel e suo fratello minore, Ethan, hanno girato film insieme fin dalla loro infanzia in Minnesota, negli anni ’60. Il loro primo film commerciale, “Blood Simple”, uscì nel 1984, lo stesso anno in cui Joel sposò la McDormand, che in seguito è apparsa in altri sette dei diciotto film che i fratelli hanno girato insieme. “The tragedy of Macbeth” è il primo film che Joel ha girato senza Ethan. Secondo il loro collaboratore di lunga data, il compositore Carter Burwell9, la ragione del tentativo solista è molto semplice: “Ethan non voleva più fare film”.
Joel Coen, che ha girato il film in un teatro di posa a Los Angeles invece che in ambientazioni reali (location), non è interessato a ricreare un panorama realistico o ad ambientare il film in un particolare periodo storico. Non possiamo neppure dare uno sguardo all’esterno del castello di Macbeth. In questo senso il suo film è più vicino al palcoscenico vuoto sul quale lo spettacolo di Shakespeare è stato rappresentato per la prima volta nel 1606 – il palcoscenico è inteso più come uno spazio inventivo che non come uno spazio vero e proprio. Se proprio qualche ambientazione possibile viene in mente per il film è il periodo che in effetti più alimenta l’immaginazione di Coen: e cioè il mondo cinematografico degli anni ’40. Con le sue scenografie stilizzate, le luci scure, e l’uso giocoso della prospettiva (stiamo guardando da sotto o da sopra gli uccelli che volteggiano?) “The tragedy of Macbeth” dichiara il suo debito all’espressionismo tedesco e ai film noir. È girato in bianco e nero in un formato quasi quadrato, simile al “formato accademico” così definito da Welles e Kurosawa e familiare ai fan del cinema di metà secolo scorso. La ricchezza del film è sbalorditiva, i suoi toni complessi, dal buio totale al bianco accecante, rispecchiano le sfumature di significato di ciò che Shakespeare ha scritto.
L’inquietante paesaggio sonoro, composto da Burwell, è un tutt’uno con gli effetti visivi – non solo la musica, ma anche i suoni dei passi che riecheggiano, il gocciolio (dell’acqua e del sangue) e soprattutto il bussare. Le parole “bussare” o “bussando” compaiono diciannove volte in Macbeth e questo effetto sonoro non è mai più snervante di quello sul cancello che si sente dopo che Macbeth uccide Duncan (Denzel Washington, nel ruolo di Macbeth, recita con freddezza la scena dell’omicidio, mettendosi un dito sulle labbra quando un fiducioso Duncan si risveglia, per poi silenziosamente far scivolare un pugnale sulla sua giugulare). In questo momento cruciale del testo, come Thomas De Quincey10 ha spiegato due secoli fa, nel ripetuto bussare “l’umano ha la sua rivincita sul diabolico; le pulsazioni della vita ricominciano nuovamente a battere; e il ristabilirsi dei ritmi consueti del mondo nel quale viviamo innanzitutto ci rende profondamente sensibili alla terribile parentesi che li aveva sospesi”
L’interesse ricorrente dei Coen è quel punto fermo del film noir “il disagio verso la debolezza maschile e la perfidia femminile, così come lo scetticismo nei confronti della promessa del… raggiungimento del sogno di pienezza psichica, della realizzazione del desiderio e del raggiungimento della ricchezza” – parole non meno applicabili alla tragedia shakespeariana.
Parole che vengono alla mente nella rappresentazione filmica della scena nella quale Lady Macbeth deve persuadere il marito esitante a portare a termine l’omicidio di Duncan, suo re, congiunto e ospite. Quando Macbeth, ancora incerto su come comportarsi, chiede a sua moglie “E se dovessimo fallire?”, lei risponde “Noi falliamo?”
Ogni attrice che ha interpretato Lady Macbeth ha effettivamente sintetizzato la sua ambizione e il suo matrimonio nel modo in cui pronuncia queste due parole.. Quel punto di domanda deriva dal First Folio11 dell’opera teatrale del 1623, la prima versione stampata, in un periodo in cui il punto di domanda si utilizzava anche per segnalare un’esclamazione. Nel 1709 Nicholas Rowe12 cambiò la battuta in “Noi falliamo!” e gli editori successivi hanno proposto un più neutrale “Noi falliamo”. La McDormand ha optato per un irremovibile ‘e quindi’ dicendo: “Noi falliamo”. Noi moriamo provandoci. Questa è la nostra ultima possibilità per realizzare le nostre speranze a lungo frustrate. Polanski, che era ancora trentenne quando girò Macbeth, scelse attori ventenni per i ruoli principali e Tynan (Tynan, co-sceneggiatore del film, e Polanski trovarono stimolante la sfida di adattare un testo teatrale così importante per il cinema; Tynan scrisse a Polanski, dicendo: “il problema numero uno del personaggio di Macbeth è vedere gli eventi del film dal suo punto di vista”; durante il processo di scrittura, Polanski e Tynan provarono le scene in un appartamento di Londra, con Tynan che interpretava Duncan e Polanski invece Macbeth) approvò la sua decisione: “Non puoi far interpretare Macbeth e Lady Macbeth da dei sessantenni” sosteneva Tynan “È troppo tardi per loro per essere ambiziosi”. Coen la pensa diversamente. E McDormand e Washington, che sono entrambi sessantenni, condividono la sua visione: la loro ambizione brucia ancora ferocemente.
L’accuratezza dell’attenzione di Coen per la trama di Shakespeare mi ha fatto ripensare alla mia lettura dell’opera. Prendete, per esempio, la scena in cui Macbeth uccide le due guardie che stavano sorvegliando l’addormentato Duncan, azione che si svolge dietro le quinte nell’originale di Shakespeare. Tutto ciò che sappiamo è che Lady Macbeth li ha drogati, per poi tornare dopo l’assassinio e imbrattare i loro volti con il sangue di Duncan. Quando l’assassinio viene scoperto, Macbeth spiega a quelli raccolti intorno a lui che è tornato indietro e ha ucciso:
“the murderers,/Steeped in the colors of their trade, their daggers/Unmannerly breeched with gore” “Who could refrain,” Aggiunge, “That had a heart to love, and in that heart/Courage to make’s love known?”
(“là stavan gli assassini,/ i loro corpi intrisi dalla tinta/ del lor mestiere, intrisi i lor pugnali/ oscenamente di sangue aggrumato” “E chi,” aggiunge “che avesse un cuore per amare/ ed il coraggio di mostrarne il palpito,/ si sarebbe potuto trattenere?”).
Io ho sempre interpretato questa sua azione come gesto prudenziale, come parte del piano di Macbeth. Ma Washington recita le battute guardando direttamente McDormand negli occhi, e lei gli lancia prima uno sguardo perplesso e poi devastato che dice “Io ti ho spiegato il piano, e tu eri d’accordo, ora stai andando fuori copione, datti una calmata”. Ciò che Coen e i suoi attori riescono così abilmente a fare qui è di individuare il momento, altrimenti indefinito nel testo, in cui i Macbeth, fino ad allora sulla stessa linea di pensiero, iniziano la loro inesorabile separazione. Come il co-regista di “Blood Simple” ben sa, i piani vanno sempre a monte e le relazioni si sgretolano una volta che il sangue viene versato.
“The tragedy of Macbeth” è stato girato durante un periodo tumultuoso della nostra storia nazionale. Le riprese erano iniziate a febbraio 2020, ma si erano poi interrotte il mese successivo a causa della pandemia. Fu completato a Luglio, dopo l’uccisione di George Floyd, mentre le proteste di Black Lives Matter attraversavano il paese e Donald Trump e Joe Biden si fronteggiavano per la presidenza.
Coen ha scelto attori con una profonda formazione teatrale (“La mafia di Yale13 e della Juilliard14” come l’ha definita Denzel Washington). La preparazione per il film deve molto alla pratica teatrale, piuttosto che al modo in cui sono realizzati solitamente i film. Il gruppo di attori ha avuto l’opportunità di provare per tre settimane e mezzo, cosa inusuale per un film, e durante la preventiva lettura delle battute fatta a tavolino, Coen ha chiesto ad ogni attore di leggere ogni volta un ruolo diverso. Il cast era a conoscenza del copione per intero, non solo delle proprie parti. “Il Covid” ha detto Coen “ci ha resi una compagnia teatrale”.
Nessun attore nero era mai apparso prima d’ora in un film su Macbeth. Coen ha scelto attori neri per molti dei ruoli principali – Macbeth e anche i Macduff, interpretati da Corey Hawkins15 e Moses Ingram16. Coen ha detto al pubblico del New York Film Festival17, dove il film è stato presentato in anteprima, che non solo “C’è diversità nel cast, ma anche negli accenti”. Infatti l’accento irlandese si mischia con quello britannico e con un’ampia gamma di accenti americani.
Questo è vero, ma per una produzione con una coppia interrazziale come protagonista, girata mentre la nazione si confrontava con profonde divisioni, dovute alle conseguenze dell’uccisione di Floyd18, sarebbe sgradevole evitare il tema del razzismo. Sono rimasto confuso dal casting apparentemente cieco al colore della pelle. Se la razza non ha rilevanza e il casting è realmente esente da tale rilevanza, perché i Macduff e i loro bambini sono tutti interpretati da attori neri? E se la razza ha importanza, cos’ha da dirci ciò rispetto alle sfide personali e politiche che i Macbeth devono affrontare come coppia? Dovremmo leggervi qualcosa nella decisione di Macbeth di inviare un uomo di colore ad uccidere la famiglia di Macduff? Dovremmo trascurare il tema della razza quando Macbeth, interpretato da Washington, frustrato per essere stato ignorato da Duncan, borbotta fra sé e sé: “Non lasciare che la luce veda i miei desideri più neri e profondi”? Non penso che ci siano riposte semplici a queste domande, ma ciò non significa che un film tratto da Shakespeare possa ignorarle, perché il pubblico non lo farà di certo.
Coen mostra un interesse maggiore al linguaggio usato da Shakespeare rispetto ai suoi predecessori cinematografici e il suo esperto cast pronuncia i versi di Shakespeare in modo naturale e conveniente. Mentre Welles e Polanski hanno optato per usare la voce fuori campo per i soliloqui, Coen li fa recitare in campo ad alta voce dai suoi attori, solitamente mentre si muovono. McDormand legge ad alta volte la lettera di Macbeth (nella quale egli condivide con lei la profezia delle streghe, secondo la quale egli diventerà re) mentre cammina per un lungo corridoio, e il suo movimento viene ripreso da Washington mentre recita “E’ forse questo un pugnale, che io vedo dinanzi a me?” quando cammina con decisione verso la stanza dove dorme Duncan.
Battute che in teatro fanno parte di scene di gruppo prendono qui la caratteristica di soliloqui, pronunciati direttamente verso l’obiettivo della camera. È una tecnica che ci invita a focalizzarci sulle parole, anche se studiamo i lineamenti del viso e, in un testo così ricco di equivoci, la sincerità di chi interpreta. I silenzi hanno significato in Shakespeare, e anche i gesti, e Coen è attento a entrambi. McDormand, in una memorabile scena, nella quale vediamo quanto Lady Macbeth sia diminuita fisicamente e mentalmente in seguito all’omicidio di Duncan, si tira delicatamente una ciocca di capelli, che si stacca rimanendole in mano. McDormand rifiuta i sentieri ormai consueti di interpretare Lady Macbeth come manipolatrice, fondamentalmente malvagia e allineata con le streghe. L’amore per suo marito è genuino, cosi come la frustrazione che prova insieme a lui. La sua è una Lady Macbeth determinata e devota.
Quelle streghe sono state a lungo una sfida per il regista. Se Macbeth viene visto come una tragedia del destino, il sovrannaturale deve risultare credibile; ma se le azioni del testo sono attribuibili all’agire umano, che senso ha prestare così tanta attenzione alle streghe? Esse hanno dominato il film di Welles dall’inizio alla fine. Polanski ha diminuito l’importanza del loro ruolo, riconoscendo sì il valore del demoniaco, ma individuando la fonte della tragedia negli stessi protagonisti. Coen adotta un approccio più ambiguo, scegliendo un’unica attrice straordinaria, Kathryn Hunter19, per interpretare tutte e tre le streghe e nella scena iniziale la vediamo contorcersi e trasformarsi in un uccello – imitando i corvi o le cornacchie volteggianti con i quali inizia il film – lasciandoci sbalorditi dalla sua performance e curiosi di sapere fino a che punto gli uccelli e le streghe siano allineati. Ma qui non c’è mai in gioco la fatalità: Coen è interessato a come gli uomini siano responsabili dei propri stessi fallimenti. Il sovrannaturale nel film – dal pugnale che perseguita Macbeth alle sue visioni del fantasma di Banquo e della futura stirpe reale – è la proiezione di un’immaginazione troppo fervida o di un’allucinazione indotta dalle pozioni.
Hunter interpreta un altro ruolo nel film: il Vecchio Uomo barbuto che sembra un Re Lear della brughiera. Siamo lasciati a domandarci se questa sia un’altra trasformazione della strega, o se stia semplicemente interpretando un altro ruolo. Dopo l’omicidio di Duncan, Ross visita la tana di questo Vecchio, dove Hunter pronuncia dei versi che potrebbero dare una scossa a coloro che conoscono molto bene Shakespeare, poiché questi sono ripresi dalla canzoncina cantata dal Folle nel Re Lear, che furono scritti immediatamente prima del Macbeth – versi che sottolineano che la vita è fatta di stenti e di lotte:
“He that has and a little tiny wit,
With hey, ho, the wind and the rain,
Must make content with his fortunes fit,
For the rain it raineth every day”
(“Chi serba ancora un pizzico di mente,
ehi, ho!, con pioggia o vento,
della sua sorte se ne stia contento,
anche se piove ininterrottamente”)
C’è un’ulteriore svolta, poiché l’attore che per primo pronunciò queste battute nel Re Lear, Robert Armin21, le aveva riprese da un’opera precedente di Shakespeare, la ‘Dodicesima Notte’22, nella quale aveva recitato nelle battute conclusive un ritornello praticamente identico nel ruolo di un altro folle, Feste.
Hunter interpretò nel 2010 il ruolo del Folle in una produzione della Royal Shakespeare Company23 del Re Lear e io ora mi chiedo se sia stata lei o Coen ad essere responsabile di questa astuta interpolazione che prepara magnificamente il finale del film. E un film tra l’altro così attento ai suoi antecedenti. Che comunque sia pronunciato da una strega o da un povero vecchio, il messaggio è lo stesso ed è famigliare agli ammiratori del cinema dei fratelli Coen: la vita è oscura; abituatici! Shakespeare lancia l’esca e cambia direzione alla fine del Macbeth. Mentre le streghe profetizzano che Banquo sarà padre di una lunga stirpe di re, il testo si conclude invece con il figlio maggiore di Duncan, Malcom, che succede a Macbeth come re di Scozia. I registi in passato hanno lavorato molto su questo punto, inventando spesso nuovi finali. Coen compie l’opera a sua volta lavorando sul personaggio di Ross. Nell’originale Ross è uno dei tanti personaggi insignificanti che appaiono nel testo. Egli appare in undici scene, per lo più per chiedere o condividere notizie. L’idea di ampliare il suo ruolo può essere fatta risalire a M.F. Libby, uno studioso canadese che nel 1893 pubblicò un saggio sul Macbeth dal titolo “Some New Notes24”, nel quale sosteneva, senza molte prove, che Ross fosse in realtà “un ambizioso intrallazzatore, un uomo con qualche capacità ma privo di senso morale, un codardo, una spia e un assassino”. Libby ha anche affermato che Ross fosse il Terzo Assassino senza nome inviato da Macbeth per tendere un’imboscata a Banquo e a suo figlio Fleance.
Le idee di Libby sono state molto seguite ed hanno trovato ascolto presso molti registi, incluso Polanski. Coen ha dichiarato che voleva vedere se ciò che Polanski aveva fatto con il personaggio di Ross “potesse essere spinto più a fondo”. Alex Hassell interpreta un imperscrutabile Ross nel film che rappresenta molto dell’agire politico che il film mette in scena: il suo Ross si ritrova in un mondo insidioso e agisce di conseguenza. Cosi come Polanski, Coen sceglie Ross come Terzo Assassino, ma invece di cercare di massacrare Fleance il suo Ross risparmia la vita del giovane, e non per gentilezza ma per coprire i suoi propositi. Quando Ross visita Lady MacDuff, appena prima che lei stessa, i suoi bambini e la sua servitù siano massacrati, egli dà un’occhiata fuori dalla finestra, vede gli assassini a cavallo che si stanno avvicinando, e si scusa dicendo, con un consapevole senso di colpa, “Crudeli sono i tempi, quando noi siamo i traditori, e non conosciamo noi stessi”.
Era venuto prima per avvisarla? Per essere in grado di condividere con suo marito (come presto farà) i dettagli della strage? Il suo spirito di autoconservazione contrasta nettamente con l’altruismo della serva di Lady Macbeth, che, in una scena inventata da Coen, sente per caso i piani di Macbeth e corre al castello di Lady Macduff per avvisarla, ma non è in grado di impedire gli omicidi, compreso, sospettiamo, il proprio. Solo i Ross senza principi del mondo riescono a sopravvivere e a prosperare. Il film si conclude con Ross che tiene la testa mozzata di Macbeth in una mano e la sua corona nell’altra. Corona che poi consegna a Malcom, dicendo “Salute, o re di Scozia!”.
Il film avrebbe potuto concludersi qui, cosi come si conclude l’opera di Shakespeare, ma a Coen è rimasto un ultimo compito da affidare a Ross: ritornare alla tana del Vecchio, dove ha nascosto il giovane Fleance, in cui lo vediamo trascinare il futuro sovrano di Scozia sul suo cavallo e cavalcare verso di noi, scomparendo momentaneamente in un avvallamento della strada. Nel realizzare ciò che sembra e viene percepito come un film senza tempo, Coen potrebbe aver voluto eludere la situazione politica attuale, ma alla fine la affronta. Nel modo in cui viene girata questa scena, ci aspettiamo di vedere Ross e Fleance riapparire mentre la strada si rialza, ma prima che lo facciano, prima del nero finale, ci troviamo inaspettatamente di fronte a un terrificante stormo di uccelli neri senza dubbio spaventati dal cavallo al galoppo di Ross. Gli uccelli impazziti e urlanti riempiono lo schermo come una citazione del terrificante stormo del film “Gli Uccelli”25 di Alfred Hitchcock. “Già s’ottenebra il giorno” dice Macbeth “ed il corvo dirige la sua ala verso il bosco già fumido di brume”.
Gli uccelli di Coen segnalano che tra l’incoronazione di Malcom e quella di Fleance, e per molto tempo dopo, ci sarà più violenza, ci saranno più orrori, ci saranno più conflitti inutili e distruttivi. Il suo film, che potrebbe apparire come un esercizio di nostalgia verso il cinema di metà secolo scorso, è anche il rifiuto di un diverso tipo di nostalgia: la fantasia americana secondo cui le cose una volta erano diverse e migliori e che lo saranno di nuovo – un messaggio adeguato ai nostri pericolosi ed equivoci tempi.
Note
1 Joel e Ethan Coen: registi, sceneggiatori e produttori cinematografici. Il loro primo film è del 1984 e si intitola Blood Simple.
2 The tragedy of Macbeth è un adattamento cinematografico della tragedia Macbeth di William Shakespeare. Il film in bianco e nero è diretto dal regista Joel Coen ed è uscito nel 2021.
3 Arden of Faversham è un dramma Elisabettiano che tratta dell’assassinio di Thomas Arden da parte della moglie in combutta con l’amante, con la conseguente scoperta e punizione del crimine.
4 Roman Polanski: nel 1971 ha girato il film Macbeth, con Jon Finch nel ruolo di Macbeth e Francesca Annis in quello di Lady Macbeth.
5 Orson Welles: fra i numerosi film che ha diretto c’è Macbeth (1948) adattamento cinematografico della tragedia Shakespeariana.
6 Akira Kurosawa ha diretto un adattamento cinematografico di Macbeth uscito nel 1957 col titolo Il Trono di Sangue (The Throne of Blood).
7 Il periodo medievale Sengoku Jidai (o periodo degli Stati Belligeranti) è un’epoca di vasta crisi politica che il Giappone fronteggiò dal 1467 al 1603, tra le ere Muromachi e Azuchi-Momoyama; il Giappone era diviso in tanti piccoli feudi costantemente in conflitto, l’ultima battaglia di questo periodo fu l’assedio di Osaka, conclusosi nel Giugno del 1615; questi conflitti puntavano all’unificazione del Giappone, che era ricercata dai vari clan, fra cui il clan Takeda.
8 Frances McDormand nata nel 1957 è un’attrice americana moglie del regista Joel Coen; è apparsa in quasi tutti i film dei fratelli Coen; nel Macbeth di Joel Coen ha recitato nel ruolo di Lady Macbeth; ha vinto tre volte il premio Oscar per i film Fargo (1996), Tre Manifesti a Ebbing, Missouri (2017), e Nomadland (2021).
9 Carter Burwell, compositore e musicista statunitense noto per la sua assidua collaborazione con i fratelli Coen, è nato nel 1954 a New York, USA.
10 Thomas Penson de Quincey, è stato uno scrittore, giornalista e traduttore inglese fra i più originali e significativi del suo tempo (1785/1859), nato a Manchester e morto ad Edimburgo.
11 Con il termine “First Folio“, gli studiosi indicano la prima pubblicazione nel 1623 di 36 opere di Shakespeare
12 Nicholas Sebastian James Rowe, è un attore scozzese nato nel 1966 a Edimburgo, ha recitato nel film Piramide di Paura nel ruolo di Sherlock Holmes ed ancora in Mr. Holmes – Il Mistero del Caso Irrisolto, True Blue – Sfida sul Tamigi, Lock & Stock – Pazzi Scatenati, Enigma e Il Figlio di Chucky
13 Yale, Connecticut, USA, Università fondata nel 1701, è nota per la Yale School of Drama, la facoltà di teatro che ha formato famosi attori e commediografi di Broadway e di Hollywood
14 La Julliard School è una delle principali scuole del mondo in arte, musica e spettacolo; è a Manhattan, New York, ed è stata fondata nel 1905 come ‘istituto di arte musicale’
15 Corey Hawkins è un attore statunitense nato nel 1988, diplomatosi alla Julliard School di New York
16 Moses Ingram, è un’attrice americana nominata agli Emmy Award nella categoria ‘migliore attrice non protagonista in una miniserie o film’; ha studiato presso la Yale School of Drama ed è nata a Baltimora, Maryland, USA
17 Il New York Film Festival, la cui prima edizione si tenne nel 1963 al Walter Reade Theater del Lincoln Center, è un festival non competitivo fondato da Amos Vogel e Richard Roud
18 La morte George Perry Floyd è avvenuta il 25 Maggio 2020 nella città di Minneapolis, Minnesota, e fu causata dal soffocamento dovuto alla pressione sul suo torace da parte di un agente poi arrestato per omicidio; questo evento portò a violente manifestazioni in tutti gli Stati Uniti contro l’abuso di potere da parte delle forze dell’ordine
19 Kathryn Hunter, è un’attrice di teatro e cinema statunitense di origini greche, nata a New York e trasferitasi a Londra durante l’infanzia, ha iniziato la sua carriera negli anni ’90
20 Re Lear è una tragedia in 5 atti, in versi e prosa scritta tra il 1605 e il 1606 da William Shakespeare; la storia che ne fornisce l’intreccio principale affonda le radici nell’antica mitologia britannica (Re Leir è un semi-leggendario re dei Britanni vissuto nell’ottavo secolo avanti Cristo);
21 Robert Armin è stato un attore specializzato nei ruoli di ‘fool’; fu anche drammaturgo e recitò nella compagnia dei Lord Chamberlain’s Men, dal 1599 ca., subentrando al famoso William Kempe, che prima di lui era stato celebre clown
22 Twelth Night or What You Will (La Dodicesima Notte o Quel Che Volete) è una commedia in 5 atti, scritta in prosimetro (genere letterario in cui prosa e versi vengono alternati in modo equilibrato) da William Shakespeare tra il 1599 e il 1601; pubblicata nel First Folio nel 1623
23 La Royal Shakespeare Company è una compagnia teatrale inglese nata nel 1960 a Stratford-upon-Avon per iniziativa degli attori Peter Hall e Fordham Flower
24 Some New Notes on Macbeth è un testo pubblicato nel 1879 e scritto dalla professoressa M.F. Libby
25 Gli Uccelli è un film diretto nel 1963 da Alfred Hitchcock; tratto dall’omonimo racconto di Daphne du Maurier, dal quale il regista ricavò l’idea centrale del film