ANTHONY CARTWRIGHT, Heartland, 66th and 2nd, trad. it di Daniele Petruccioli, pp. 289, € 17,00
LETTERATURA: Lo scrittore Wu Ming 3 recensisce il romanzo Heartland di Anthony Cartwright. Un romanzo che solo in apparenza è su un gruppo di amici tifosi di calcio di una piccola cittadina inglese durante i mondiali del 2002. Il romanzo è in realtà una cronaca del calcio, del razzismo, del terrorismo, del multiculturalismo, del mondo.
Dove minchia sono le West Midlands? E Dudley? Ce ne fotte qualcosa?
Dudley è nelle West Midlands, piantata nel bel mezzo della penisola britannica. Cittadina industriale fin dall’’800, miniere e ferro, oggi senza industrie, quasi equidistante da Birmingham e Wolverhampton, maggiori centri della regione. Da oltre trent’anni luogo di forte immigrazione indo-pakistana, che ormai raggiunge quote del 25%. Feudo laburista da decenni. E allora?
È il 7 Giugno 2002, a Sapporo, Giappone, ha luogo la partita del girone eliminatorio del campionato del mondo nippo-coreano in corso, Argentina-Inghilterra. Sempre una partita tosta, per tanti motivi. Il pub del sobborgo di Cinderheat, sede della locale squadra di calcio, è pieno di gente. Avventori giunti per vivere la partita insieme. La bella faccia di David Beckham inonda lo schermo, primo piano che precede una punizione dalla trequarti, una tra le principali specialità del griffato campione. Embé?
Si tratta della sequenza iniziale di Heartland, romanzo di Anthony Cartwright, edito da 66th 2nd. I protagonisti della storia sono quasi tutti in quel pub, di sicuro però ne manca uno. Il romanzo dura 90 minuti, quelli della partita. E anche vent’anni, quelli precedenti. Forse 30, fino ai nostri giorni. Di sicuro almeno 50, di nuovo a ritroso, alla metà dei fifties, alla generazione dei padri di quelli che hanno trent’anni, o giù di lì. Dura due mesi, a cavallo di elezioni amministrative cruciali. E ancora altri 90 minuti, di un’altra partita, stavolta si tratta di calcio dilettantistico, locale, non meno denso di pulsione, più gravido di ricadute possibili.
Un grande romanzo fútbologico, che sfonda il tempo, lo rende spazio, quarta dimensione. Così permettendogli di essere popolato da fantasmi, fughe, non solo sulla fascia, rientri, non solo sull’attaccante, recuperi, non solo del pallone, sconfitte, non solo sul campo, o forse sì.
La domanda rimane: ce ne deve fottere qualcosa?
Rob Catesby, omonimo dell’ideatore del Gunpowder Plot del 1604, è il figlio di Tom, forte calciatore professionista dei ‘Lupi’ del Wolverhampton Wanderers negli anni ’60, ultimi vagiti dell’età aurea della squadra, in odore di nazionale prima di essere stroncato ai più alti livelli da un serio infortunio. Anche Rob gioca al calcio. Giunto al semiprofessionismo, si è fermato sulla soglia del grande salto, nelle riserve dell’Aston Villa, la forte squadra di Birmingham, poi la sua carriera è andata all’indietro. Giunto al limitare dei trenta, tira gli ultimi calci nella formazione del Cinderheat FC, quella del suo borgo, prima in classifica del campionato regionale dilettantistico. Lavora nella scuola superiore locale come insegnante di sostegno, nonché responsabile delle attrezzature e delle attività sportive. I ragazzi gli danno più retta che ad altri. I ragazzi ogni tanto si confidano con lui, si allenano con lui. I ragazzi sono incasinati. Come tutti, in un sobborgo industriale senza più industrie. Dal suo osservatorio Rob vede ciò che altri a malapena intuiscono, l’avanzare in una scuola pubblica declassata di nuove forme di analfabetismo, non tanto o solo tra le giovani seconde o terze generazioni di immigrati, quanto tra gli adolescenti inglesi di famiglie evaporate e prospettive segnate, privi di punti di riferimento credibili, senza meta. Assiste, nel pieno della paranoia securitaria e dell’attesa dello scontro di civiltà successive all’11 settembre, al formarsi delle prime bande locali monoetniche, in reciproca ostilità. La vive anche, nella propria squadra di quartiere cavalcata politicamente dagli uomini del BNP1 è, la destra nazionalista rampante e aggressiva come mai prima.