Paolo Prato

Radio3suCarta. Wikiradio. John Belushi

La mattina del 5 marzo 1982 il corpo di John Belushi fu trovato senza vita nella stanza dello Chateau Marmont sul Sunset Boulevard, il viale del tramonto a Hollywood. Gli ultimi due mesi della sua vita li aveva passati a Los Angeles per lavorare a una sceneggiatura insieme a un amico.

45Wikiradio costruisce giorno per giorno una sorta di almanacco di cose notevoli ed utili da sapere per orientarsi nella nostra modernità. Ogni puntata racconta un evento accaduto proprio nel giorno in cui va in onda, intrecciando il passato con il presente, la memoria storica con ciò che oggi essa significa per noi. Dalla storia all’economia, dal cinema alla scienza, la letteratura, il teatro, le arti visive, la musica, i grandi momenti che hanno segnato un punto di svolta raccontati da esperti, studiosi, critici, con spezzoni di repertorio, sequenze cinematografiche, brani musicali, in un articolato mosaico che vuole restituire agli ascoltatori tutti i significati possibili di un avvenimento.

Un programma a cura di Loredana Rotundo, con Antonella Borghi, Lorenzo Pavolini e Roberta Vespa.

La mattina del 5 marzo 1982 il corpo di John Belushi fu trovato senza vita nella stanza dello Chateau Marmont sul Sunset Boulevard, il viale del tramonto a Hollywood. Gli ultimi due mesi della sua vita li aveva passati a Los Angeles per lavorare a una sceneggiatura insieme a un amico. Lontano dalla moglie Judy, rimasta a New York, si getta di nuovo nelle dissipatezze più dissennate, l’ultima sera della sua vita la trascorre a un party con Robert De Niro e Robin Williams, poi chiede 1.500 dollari al suo agente per comprare una chitarra, invece li spende per drogarsi. Chaty Smith, la donna con cui aveva trascorso le ultime ore, gli aveva iniettato una miscela fatale di cocaina ed eroina. Per questo pagherà con 15 mesi di reclusione dopo una latitanza durata qualche anno. Lungi dal tramontare, la stella di John Belushi era comparsa nel firmamento di Hollywood da pochi anni, ed era giunta a brillare di una luce straordinaria, per poi spegnersi all’improvviso. Aveva chiesto troppo a sé stesso, a un povero corpo di un metro e settantacinque di altezza arrivato a pesare  oltre cento chili. John Belushi ha concentrato in 33 anni di vita spericolata l’eccesso di un’epoca, lasciando un’impronta indelebile  nello stile, nel costume, nel cinema e nella musica. Sono gli anni d’oro a cavallo tra i ’70 e gli ’80, vissuti pericolosamente, spingendo sempre al massimo. Nell’autunno del 1978 ottiene la copertina di ‘Newsweek’ come Bluto, lo zoticone di Animal House, la commedia che diverrà il maggior incasso nella storia di Hollywood. Pochi mesi prima, lui e Dan Aykroyd sono primi nelle classifiche degli album con il debutto discografico dei Blues Brothers, con due milioni e ottocentomila copie vendute. Nel frattempo John era la star di ‘Saturday Night Live’ della NBC, lo show del sabato sera che radunava venti milioni di telespettatori. Il successo a 30 anni segnava la fine per Belushi delle difficoltà finanziarie. Bob Woodward, il giornalista che innescò lo scandalo del Watergate, nel 1984 pubblicò un libro inchiesta sulla vita dell’attore dal titolo Wired (Fulminato) uscito nell’edizione italiana con il titolo chi Chi tocca muore, scrive che:

più denaro significa più droga. Vendere droga a John era un gioco da ragazzi, facile come rimpinzare di popcorn le foche allo zoo: un poco di droga e avrebbe iniziato a fare pazzie, cose incredibili, ancora un po’ e sarebbe rimasto in piedi a ballare, a strafare, resistendo più di chiunque altro.

Il medico responsabile dell’assistenza sanitaria sul set del film I Blues Brothers nel mettere in guardia il produttore del film, gli disse che John andava disintossicato, e che necessitava di assistenza psichiatrica:

Fategli fare più film che potete perché ha solo due o tre anni di vita.

Ma non c’era modo di tenerlo a freno, nemmeno la moglie ci riusciva, e fu proprio la sua mancanza totale di controllo, la sua personalità di scavezzacollo a trasformarlo in un campione di incassi. Fra le persone con cui John era più in sintonia c’era Carrie Fisher, la principessa Leila di Guerre Stellari, figlia del cantante Eddie Fisher e dell’attrice Debbie Reynolds, che farà la parte della sua fidanzata ne I Blues Brothers, quella che lo aspetta dentro un tunnel con il fucile spianato per farlo fuori dopo che lui l’aveva abbandonata sull’altare. I Blues Brothers, un film culto per la generazione cresciuta negli anni ’70, lascerà un segno soprattutto negli edonistici e cinici anni ’80.

 

John Belushi con Carrie Fisher

John Belushi con Carrie Fisher

John Belushi era di origine albanese, il padre Adan era arrivato in America nel 1934 a 16 anni e partito da sguattero, aveva fatto carriera come ristoratore. Al college, John passava gran parte del tempo libero con il gruppo con cui suonava alle feste studentesche, andava pazzo per i Rolling Stones, e quando vennero a Chicago ci portò i suoi amici. Nel 1967 si diplomò e si iscrisse all’università del Wisconsin, ma a causa di diversi problemi finanziari la abbandonò nel 1970. Cominciava a manifestare una personalità dove l’insolenza era alla base della comicità. Nel formalizzare il suo primo lavoro nel giro del teatro, ad esempio, dovette compilare un modulo di 19 pagine, dove gli si chiedeva la nazionalità. Belushi la indicò e poi ci scarabocchiò su fino a renderla illeggibile. Si era sempre spacciato come figlio di madre greca e padre italiano, perché il provenire da un paese comunista gli avrebbe potuto creare problemi. E alla domanda “Esperienze di lavoro rispondeva”:

 

Ho cercato di non lavorare finché ho potuto.

DOMANDA: Quale altro lavoro ti sarebbe piaciuto fare?

RISPOSTA: Comandante di un’astronave.

DOMANDA: Numero di telefono?

RISPOSTA: Mi hanno tagliato i fili.

DOMANDA: La sua vita è mai stata in pericolo?

RISPOSTA: Solo quando ho pensato di suicidarmi.

DOMANDA: Interessi musicali?

RISPOSTA: Un giorno o l’altro voglio comprarmi uno stereo e imparare a suonare i dischi a tutto volume.

DOMANDA: Quali capi di vestiario ha nel suo guardaroba?

RISPOSTA: Non ho bisogno di tanti vestiti, ma mi piacerebbe riuscire a trovare un paio di calzini puliti.

 

La prima apparizione pubblica di Belushi a livello nazionale avviene nel 1972, e segna l’ingresso di John nell’umorismo sarcastico della rivista di culto dei giovani contestatori il ‘National Lampoon’ (Lampoon significa parodia). La rivista era nata due anni prima e aveva insegnato a una generazione di disegnatori e giornalisti a fare la parodia dei personaggi più in vista della cultura cinematografica e televisiva americana. Per rendere l’idea, una volta questi burloni misero in copertina la foto di un cucciolo con una pistola puntata alla tempia, il titolo diceva a caratteri cubitali: Se non comprate questa rivista questo cane morirà! Dalla fucina del ‘National Lampoon’ nacque ‘Lemmings’, ujl’ano spettacolo che prendeva di mira uno dei luoghi sacri di quella generazione: il festival rock. L’ispirazione era venuta da un articolo del ‘New York Times’ di qualche anno prima in cui si parlava di Woodstock e dell’istinto di autodistruzione. L’articolo diceva:

Come lemmings (gli animaletti guidati dal folle impulso a cercare la morte sul fondo del mare), 300.000 tra fan e hippy hanno seguito i loro sogni di rock e marijuana fino al folle raduno ai piedi delle Catskills.
John Belushi durante le prove dello spettacolo 'Lemmings'

John Belushi durante le prove dello spettacolo ‘Lemmings’

Nello spettacolo John compariva nella veste di Ponzio Pilato in stile di Marlon Brando del Padrino, in una parodia di Jesus Christ Superstar. Nella seconda parte dello spettacolo interpretava il presentatore di Woodstock, festival di pace, amore e morte, che si preparava al suicidio di massa e con voce autoritaria richiamava l’attenzione del pubblico:

Ok, sappiamo tutti perché siamo qui. Siamo un milione, e siamo qui per farci fuori. Come già sapete non c’è abbastanza cibo nel mondo, non c’è abbastanza da mangiare, e allora ricordatevi: il vostro vicino è anche la vostra cena!

Dopo altre amenità del genere presentava il supergruppo della serata: la All-Star Dead Band, cioè una band formata da star morte. Alla voce Jim Morrison e Janis Joplin (morti per overdose), chitarra ritmica Brian Jones (anche lui morto per overdose), chitarra hawaiana Duane Alman (morto in un incidente di moto), chitarra solita Jimi Hendrix (overdose) e alle tastiere Harry Truman, l’ex presidente, morto ovviamente anche lui. A questo punto John passava all’imitazione di Joe Cocker, una delle performance più esilaranti della sua carriera, e cantava una canzone scritta appositamente per lo spettacolo: Solo, al fondo del barile. Venne giù il teatro, il giorno dopo un critico scrisse:

Non c’è bisogno di sapere che Belushi stia facendo l’imitazione di Joe Cocker per gustarsi la sua straordinaria esibizione di contorsionismo. Sembra che l’abbiano infilato in una presa elettrica, incespicando sulle gambe finisce a terra con un tonfo e continua a suonare mentre cerca di rialzarsi in piedi.

Quell’esibizione lo proiettò nella notorietà. Il suo manager ricevette addirittura una telefonata dall’ufficio di Paul McCartney per invitarlo al trentaquattresimo compleanno dell’ex Beatles per fargli fare Joe Cocker per un compenso di 6.000 dollari. Sul ‘New York Times’ apparve un lungo servizio che si intitolava: Perché ai giovani piace ‘Lemmings’?, e cominciava così:

Il vero messaggio degli anni ’60 non era di amore e di pace, ma di morte per ago o per proiettile, c’era solo l’imbarazzo della scelta, e ‘Lemmings’ è incentrato sulla morte, e anche, implicitamente, sulla risata come segno vitale dell’esistenza.

Durante un viaggio di lavoro, John Belushi conosce Dan Aykroyd, un attore suo coetaneo, con cui familiarizza da subito. Presto i due organizzano un viaggio in California a bordo di una Oldsmobile scassata, su cui installano una radio ricetrasmittente che diventa il loro trastullo. Entravano nelle frequenze dei camionisti e si prendevano gioco di loro, ma quelli non si divertivano affatto e iniziavano a inseguirli in giro per gli States. La TV fu il trampolino di lancio di John nello star system: nel 1975 prese il via il ‘Saturday Night Live’, che radunava il meglio dei nuovi comici. La star dello show era Chavey Chase, ma John lo tallonava e presto divenne lui il primo attore. Alle gag demenziali si alternavano star del cinema e della musica. Ad esempio nella seconda puntata ci fu la riappacificazione in diretta di Simon e Garfunkel, mentre lo sketch di Belushi e compagni vestiti da api sarebbe diventato un numero fisso, un tormentone di cui lo stesso John in seguito non ne potrà più.

John Belushi e Dan Aykroyd

John Belushi e Dan Aykroyd

Lo show correva sul filo del rasoio per quanto riguarda i problemi di censura, e proprio lì stava il suo fascino: nel brivido della diretta. Tutti, produttori e pubblico, sapevano che le cose sarebbero potute sfuggire al controllo della rete televisiva, e che ogni volta in una puntata sarebbe scappata una parolaccia o un insulto politicamente scorretto. Puro funambolismo, che dalle 23.30 consegnava il sabato sera ai giovani. Un critico scrisse:

‘Saturday Night Live’ è il primo programma scritto dalla generazione della televisione e rivolto ad essa. Quei bambini nati nell’immediato dopoguerra che per primi trovarono nella TV la loro babysitter. Negli anni ’50 la adoravano, negli anni ’60 la detestavano, e ora, negli anni ’70, stanno cercando di appropriarsene.

Tra i tanti momenti consegnati alla storia c’è lo sketch in cui John impersona Beethoven. Con tanto di parrucca e sguardo perso nel vuoto è in cerca di ispirazione davanti alla tastiera, mentre le sue domestiche si disperano perché da giorni Ludwig non mangia. Strimpella distratto, senza capo né coda, poi, improvvisamente, la mutazione: sniffa qualcosa, inforca degli occhiali neri e si trasforma in Ray Charles cantando “What I say”. La musica nera gli era entrata nel cuore come un’ossessione. Tutte le sere lui, la moglie Judy e gli amici, ascoltavano dischi di Ray Charles, di James Brown, di B.B. King a volumi impossibili, e negli studi televisivi del ‘Saturday Night Live’ nacque il mito dei Blues Brothers come gruppo musicale. Lo show televisivo era solito ospitare star della musica come Billy Joel o George Harrison, così i due amici, John e Dan Aykroyd, presero coraggio e da membri del cast regolare si trasformarono in ospiti. Ma questa volta facevano sul serio, niente da ridere: Dan suonava l’armonica e John, anche senza una grande voce, ci dava dentro con foga, e da lì a formare una band stabile il passo fu breve. Furono reclutati musicisti eccellenti, tra cui Matt “Guitar” Murphy, che aveva suonato con Muddy Waters e Chuck Berry e il chitarrista Steve Cropper. Il 19 dicembre 1978, i Blues Brothers aprirono lo show del comico Steve Martin, e fu subito chiaro che erano  loro le star. Mentre la band suona “I can turn it loose”, entrano in scena i due fratelli: Dan con una ventiquattrore ammanettata al polso e John che si trastulla con una catena, gli si avvicina e gli toglie le manette. L’esibizione dura 40 minuti ma è un trionfo. Dopo lo spettacolo il brindisi con Mick Jagger, Joe Coker, James Brown e persino Walter Matthau: era nata un’altra stella.

Quello di diventare una rockstar era il sogno segreto di Belushi, che riuscì a realizzare impersonando Jake Blues. Scrive Woodward:

Quando si infilava l’abito nero, gli occhiali e il cappello era veramente una rockstar.
John Belushi e Dan Aykroyd  sul set del film Blues Brothers

John Belushi e Dan Aykroyd sul set del film Blues Brothers

L’album del debutto si intitola “Briefcase full of Blues”, e fu il disco live dal successo più rapido nella storia dell’etichetta Atlantic, in poche settimane vende più di un milione di copie e si guadagnò disco di platino. Con i guadagni, un milione di dollari, John e Judy si comprano la loro prima casa a Martha’s Vyneard, l’isola rifugio di politici, artisti e intellettuali, compresi Bill Clinton e Obama. Acquistarono la villa di Robert McNamara, l’ex segretario alla difesa, per 425.000 dollari e decisero di smettere di fare i pendolari per la TV. Così John lasciò definitivamente il ‘Saturday Night Live’ dopo che lo show era giunto al 39% di share partendo dal 22. Sul fronte cinematografico, il suo più grande successo fu Animal House. In questo film, vestito da antico romano con la toga bianca e una corona di alloro in testa, scende le scale dell’appartamento, incrocia un coetaneo con la chitarra mentre canta una canzone melensa a tre ragazze in adorazione. La macchina da presa indugia prima sullo stile intimista del tizio e poi vira sul primo piano di Belushi: lo sguardo perplesso, gli occhi che ruotano tra l’interrogativo sul da farsi e il disgusto puro, e quindi strappa di mano la chitarra al malcapitato e gliela sfascia sul muro interrompendo quell’insulsa serenata. Lui amava ben altri suoni. Quelli ruvidi e sanguigni del blues e del soul. Il film lo proiettò nell’olimpo della popolarità, e da comico irriverente, in grado di modificare maschera e registro, fu identificato con Bluto, il personaggio del film. La gente per strada gli chiedeva di ripetere le gag del far esplodere il cibo dalla bocca o di schiacciarsi una lattina di birra sulla testa.

Il 27 giugno del 1980 uscì il film I Blues Brothers, che non riuscì però a superare il successo di due anni prima di Animal House. Solo gradualmente, anno dopo anno, diventò un film di culto, ma inizialmente incassò meno del previsto, la critica americana lo snobbò mentre in Italia fu accolto molto bene. In trent’anni questo film ha prodotto un videogioco, un sequel, e per il 30° anniversario dalla morte di Belushi è stato addirittura restaurato. Un sondaggio della BBC fatto nel 2004 ha premiato la colonna sonora del film come la migliore in assoluto della storia del cinema. Persino ‘L’Osservatore Romano’ l’ha definito come un film memorabile, di fatto cattolico.

John Belushi in Animal House

John Belushi in Animal House

Nella breve filmografia di Belushi spiccano anche altri titoli, non necessariamente comici, come Compagni di scuola del 1976 e Verso il sud del 1978, questo era la prima regia di Jack Nicholson, che lo volle fortissimamente con sé quando John era ancora solo una promessa. La stessa cosa fece Spielberg in 1941 – Allarme ad Hollywood. Girò poi Chiamami aquila e Vicini di casa, ultimo film della sua breve carriera. In questi ultimi due titoli esce dal cliché dell’attore comico e si rivela un attore completo.

Al suo funerale suonarono una delle canzoni demenziali che facevano parte del suo repertorio televisivo. La suonarono esaudendo le sue volontà che aveva espresso da tempo all’amico fraterno  Dan Aykroyd. Dan cadrà in depressione e rimanderà per anni i progetti a cui stava lavorando. In un’intervista rilasciata qualche tempo dopo la morte dell’amico si legge:

Per metà il mio atteggiamento è: beh amico mio non ce l’hai fatta, ti sei perso un momento magnifico, i prossimi dieci anni saranno meravigliosi. E tu, tu ti sei cacciato in quel casino e io non ci posso fare niente, e mi dispiace. Ma mi manca, e ho pianto al suo funerale, ho pianto durante un’intervista un mese dopo la sua morte, ho pianto di recente, quando ho sentito una canzone che diceva: “È stata una giornata dura per Johnnie, non dovete più piangere, ancora un miglio, un miglio soltanto, è stata una giornata dura per Johnnie e non dovete piangere più”.

 

Dan Aykroyd durante il funerale di John Belushi

Dan Aykroyd durante il funerale di John Belushi

Il suo corpo giace nel cimitero di Martha’s Vyneard. La sua lapide recita: “Io forse non ci sono più ma il rock vive in eterno”. E nella tomba di famiglia nell’Illinois, è scolpita questa semplice frase: “Ci ha fatto ridere”.

Ascolta la puntata di Wikiradio.

 

PAOLO PRATO, insegna Sociologia della Musica alla LUISS. È International advisor dell’Encyclopedia of Popular Music of the World (Bloosmbury) e Guest Editor del volume su European Genres. Fa parte del Comitato editoriale di Popular Music History e Musica/Realtà. Collabora con Radio Tre dagli anni Ottanta. Fra i suoi libri: I canti di natale. Da Jingle Bells a Lady Gaga (Donzelli, 2013), Le macchine della musica. L’orchestra in casa (Rai-Nuova Eri, 2013), La musica italiana: una storia sociale dall’Unità a oggi (Donzelli , 2010), White Christmas. L’America e la reinvenzione del Natale (Donzelli, 2006), Il treno dei desideri. Musica e ferrovia da Berlioz al rock (L’Epos, 2003), Suoni in scatola: sociologia della musica registrata (Costa & Nolan, 1999), Dizionario di Musica Pop e Rock (Vallardi,1996). Ha ideato e progettato collane per l’edicola come Swing Collection, I Grandi del Rock,   Black & Soul,   Cantanapoli,  Il Dizionario della Canzone Italiana e Il Dizionario del Rock.

 

 

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